GORGO: sguardo e maschera
«Before ever land was,
Before ever the sea,
Or soft hair of the grass,
Or fair limbs of the tree,
Or the flesh-coloured fruit of my branches, I was, and thy soul was in
me.»
Algernon Charles Swinburne, «Hertha»
Esite
una divinità che è l’altro volto della Grande Dèa,
come anche «l’altro aspetto della bella Persefone» (4).
A lei, Athena, nell’osservare il proprio riflesso nell’acqua,
si vide, con orrore, somigliante. È una dèa che fu decapitata
da colui che ne guardava il viso riflesso da una lustra superficie: un
guerriero la cui ombra riflessa sul mare fu successivamente azzannata
da un mostro marino. Questa dèa è Gorgo, il cui volto è
simile a uno specchio, per chi, seppure terrorizzato, osa fissarlo.
Figlie dell’«altero Forco» e di sua sorella, «Ceto
dalla bella guancia», divinità degli abissi marini e terrestri,
le Gorgoni, «tremende e innominabili» divinità marine,
«avevano teste avvolte da scaglie di serpenti, zanne grosse come
quelle dei cinghiali, mani di bronzo e ali d’oro, con cui potevano
volare. Steno, il cui nome richiamava la forza, ed Euriale, appartenente
al vasto mare, erano «immortali e prive di vecchiaia». Medusa,
la sovrana, era invece mortale. Tramutavano in pietra coloro che le guardavano»,
e dimoravano «lontano dagli dèi e dagli uomini», «al
di là dell’Oceano famoso, sul confine ultimo della notte,
dove stanno le Esperidi dalla voce armoniosa» (5), ovvero nel mondo
infero e tenebroso, in cui, anziché trovare silenzio, si udivano
le «grida raccapriccianti» delle «schiere infinite dei
morti» (6).
L’alterità radicale, pura e assoluta di questo mondo, al
quale i vivi non possono accedere, se non eccezionalmente, come pure la
confusione della Notte, l’orrore della Morte, il terrore primordiale
e immotivato del Numinoso, ma anche l’estasi che la possessione
infera produce, sono rappresentati da Gorgo, testa isolata che nessun
essere umano può guardare senza morire all’istante. Oltre
«sentieri sperduti e impervi», oltre «orridi nell’intrico
di foreste», presso la sua dimora, «qua e là in mezzo
ai campi, nei sentieri», si vedevano «figure di uomini e belve
mutati da esseri vivi in granito» per averla vista (7). La sua testa,
il suo volto, debbono essere paragonati a una maschera, simile a quelle
che rappresentavano Ecate, e in suo onore si affiggevano. Essa era inoltre
ciò che, come loro volto proprio, portavano al collo Artemide e
Demeter Erinys (Demetra adirata). In essa, nel suo volto, come nello specchio,
s’incrociano e si confondono gli opposti: maschile e femminile,
giovane e vecchio, bello e brutto, umano e bestiale, celeste e infernale,
divino e umano.
Dunque, Gorgo dimora nel mondo infero, accanto a Stige, Echidna e Cerbero.
Come quest’ultimo, ella sorveglia le frontiere del regno di Persefone,
ma non per impedire ai morti di uscirne, bensì per proibirne l’accesso
ai vivi. Infatti, il vivo che voglia varcarne la soglia deve guardarla
in faccia e diventare come lei: una testa tronca e mostruosa, ammantata
di tenebre, simile a un’ombra o ad un riflesso in uno specchio:
una testa di morto. Per il «verde orrore» che la «lucente
Persefone» gli mandasse incontro dall’Ade la sua testa pietrificante,
la quale annullava ogni identità, anche nella morte, Odisseo fuggì
dall’«ombra nebbiosa» del mondo infero, in cui era sceso,
vivo, seguendo le istruzioni di Kirke, per interrogare «le stirpi
dei morti» (8). Specchio e maschera, Gorgo è simbolo dell’uscita
da sé e dell’accesso all’Altrove, che può essere
catabasi iniziatica, mediante l’invasamento e l’estasi erotica.
La sua maschera rappresenta lo spirito del defunto, e la si indossa per
mimare la potenza del mondo infero, estraneo tanto al mondo divino quanto
al mondo umano.
Per simulare il «funereo lamento» che stillava con «luttuoso
travaglio» dai «capi di vergini e dalle teste inaccessibili
dei serpi» delle «violente Gorgoni», quando Medusa «dalle
forti gote» fu uccisa da Perseo, la dèa Atena fabbricò
il flauto (9). Chi ode o crede di udirne le note, che sono i suoni spaventosi
del mondo infero e dell’Altrove, sprofonda nell’entusiasmo,
nell’estasi, e si abbandona a una trance furiosa in cui è
invasato dalla divinità, la quale gl’impone la maschera della
possessione e lo monta come una cavalcatura, trascinandolo nel delirio.
È la musica del terrore soprannaturale, la musica della Gorgone,
anguicrinita figlia della Notte, dallo sguardo pietrificante. È
la possessione di Ecate, dèa della Luna Nera, spesso evocata con
il nome di Gorgo. Invaso dal terrore che ascende dal mondo infero, il
posseduto danza all’orribile melodia del flauto, mimando la Gorgone,
di cui indossa la maschera, e trasformandosi in essa, cioè in una
potenza dell’Altrove.
Come uno specchio, la maschera di Gorgo rivela se stesso a chi la guarda,
nella verità della propria immagine riflessa: il viso stravolto
dell’invasato che danza nell’estasi terrifica [del terrore]
alla musica infernale. Esige che la si guardi negli occhi, restandone
affascinati, come dall’ombra o dal riflesso da cui non ci si può
staccare, privati della vista e pietrificati dal terrore, smarriti nello
sguardo alieno, accecati dal fulgore della Notte, spossessati di se stessi
e posseduti dalla divinità, nella fusione e nella distanza del
contatto intimo, come nell’amplesso degli amanti, proiettati e trasformati
nel mondo che la divinità medesima governa, ovvero l’orrore
terrificante dell’alterità radicale del mondo infero, il
soprannaturale che è nell’umano: l’Altrove, in cui
ci si identifica diventando pietra, e da cui si è posseduti. Allora
Gorgo si specchia in chi la osserva e si riconosce nel proprio doppio,
l’umano divenuto fantasma.
Come la maschera di Gorgo riflette l’Alterità con cui ci
si identifica attraverso un incrocio di sguardi che pietrifica, così
lo specchio riflette colui che guardandosi diviene altro da sé,
qualcosa di enigmatico e di misterioso, come l’ombra, il fantasma,
il doppio. Attraverso lo specchio, ci si riconosce e ci si ritrova, purché
ci si divida, ci si distanzi da sé; si appaia a se stessi come
esterni, estranei, altri. Così lo specchio è illusione,
apparenza, e al tempo stesso la realtà dell’Altrove, «una
potenza demoniaca e soprannaturale» (10). È una porta sull’ignoto,
attraverso la quale ci si sdoppia e si diviene affini all’Altrove,
cioè si vive l’esperienza essenziale, la quale consiste nel
divenire altro da sé.
Qualcosa di analogo avviene nell’amore. Il delirio erotico è
una forma di follia divina, ovvero di possessione da parte di una potenza
soprannaturale (nonché di iniziazione ai Misteri). Quando gli amanti
si guardano, e il flusso erotico scorre dall’uno all’altra
attraverso gli occhi, l’uno si vede riflesso nella pupilla dell’altra
come in uno specchio, vede se stesso attraverso l’altra, si perde,
diviene altro da sé, si vede trasfigurato nell’altra come
in uno specchio che non mostra il riflesso, bensì il volto della
divinità da cui si è posseduti, l’alterità
assoluta che si nasconde nel profondo, e che trasfigura gli amanti, illuminandoli
con lo splendore dell’Altrove, con la luce e l’immagine della
Bellezza. Così, per ritrovare se stessi attraverso l’amore,
occorre perdersi nell’altro. Per l’uomo, questo significa
perdersi nell’Altrove e nel Numinoso attrraverso la donna, ossia
perdersi nella donna. Allorché il patriarcato prevale, quando l’armonia
è infranta, tanto che il rinnovamento non appare più possibile,
e perciò questa esperienza di smarrimento per giungere a ritrovarsi
risulta spaventevole, annichilante, la donna appare all’uomo come
una minacciosa incarnazione dell’annientamento. Non più una
dèa della vita, bensì un demone della morte.
La Medusa del Caravaggio
La Medusa dl Bernini ai Musei Capitolini
Volto di Medusa sulla soglia del tempio di Apollo a Didyme
Perseo e Medusa del Cellini
Testa di Medusa, artista fiammingo, Uffizi
* Articolo scritto da Alessandro Zabini (alessandrozabini@tin.it)
per Il tempio
della Ninfa,
pubblicato su www.ilcerchiodellaluna.it nel settembre 2008 con il
permesso dell'autore.
Severamente vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autore.
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