Le
origini della Befana: le Dee di Luce e Fortuna
di Violet*
La Befana vien di notte
Con le scarpe tutte rotte
Viene e bussa alla tua porta
Sai tu dirmi che ti porta?”
Una delle versioni della Filastrocca della Befana
Le ombre della notte si stendono, morbide e materne, ad ammantare gli
stretti vicoli dei borghi pietrosi, illuminati solo dalle calde luci
delle lanterne ad olio. Nel loro calare, portano il mistero di ciò
che verrà, la speranza di doni luminosi, l’attesa per il
compiersi di un’antica magia…
Accanto ai caminetti accesi e crepitanti, i bimbi appendono con gioia
le loro calzette colorate, sognando ad occhi aperti il momento in cui,
alle prime luci del mattino, le ritroveranno piene di mille sorprese.
Trattengono il respiro, mentre cercano di restare svegli, nonostante
il sonno che chiude i loro occhietti… Aspettano che Lei arrivi,
per portar loro ciò che hanno meritato.
Narra la tradizione, che la fredda notte del sei gennaio, solcando i cieli nevosi sulla sua scopa, la Befana si rechi a far visita alle case e a coloro che vi abitano, con un occhio di riguardo speciale per i bambini. Ha l’aspetto di una vecchia molto brutta, con la faccia segnata da profonde rughe, il naso lungo e adunco, il mento sporgente e ben pochi denti in bocca, e le sue vesti sono povere, scure, strappate e rattoppate qua e là. Ma ciò nonostante, a prescindere dall’aspetto che può sembrare orrendo e minaccioso, ella è una vecchina molto buona e gentile, dispensatrice dei doni che tiene nel suo grande sacco di iuta.
Volando di casa in casa, scende sui tetti e si infila nei camini, poi si guarda attorno ed a seconda di ciò che trova, scrutando fin nel profondo del cuore i piccini che sonnecchiano tranquilli, riempie le calze lasciate appositamente per lei con ciò che è giusto che contengano: bei giocattoli, dolci e caramelle colorate, se ciò che scorge oltre le apparenze è bello e luminoso, ovvero se i bambini sono stati buoni, oppure grandi quantità di carbone, cenere o cipolle se intuisce comportamenti negativi e disarmonici.
La figura della graziosa Befana, così come oggi la conosciamo, è ciò che resta di qualcosa di molto antico, qualcosa che la religione cristiana non ha potuto annebbiare completamente (1). La si onora ancora, attualmente, come manifestazione dell’anno vecchio, come Strega del Solstizio d’Inverno che si sacrifica per cedere il posto alla giovane Fanciulla dei Fiori, portatrice della tiepida Primavera; ed i regali che ella elargisce sono visti come simboli dei buoni e positivi propositi per i mesi a venire – i dolci – e dei residui del passato che non servono più a nulla – il carbone e le ceneri. Tuttavia queste credenze non sono che labili reminescenze di un passato dimenticato, in cui le cose apparivano per come sono realmente. Ed è qui che troviamo le vere origini della Befana, le quali la fanno risalire alle antiche Dee Madri generatrici del Tutto, ed in modo particolare a quelle della tradizione celtica e di quella germanica delle gelide e selvagge lande nordiche.
Soprattutto nelle lucenti Holla, Berchta e Frigg possiamo infatti ritrovare il vero aspetto della benevola Vecchina vestita di laidi stracci, così come i suoi sacri compiti e tutto il suo perduto splendore.
Per riscoprire queste origini ed osservarle un poco più da vicino, affronteremo queste Divinità una per volta, nelle loro piccole differenze così come nelle loro estreme similitudini, che fanno di tutte Una.
Holla/ Holda/ Frau Holle
La buona Holla
dagli occhi luminosi e dalle vesti candide come la neve era la Signora
dell’Inverno, custode del focolare, protettrice della casa, degli
animali domestici e dell’arte della filatura.
Aveva l’aspetto di una donna vecchia, con il volto rugoso, i capelli
canuti, che il forte vento scarmigliava, e lo sguardo gentile e benevolo;
ma le sue sembianze erano mutevoli, e molti i suoi volti.
Nelle notti del Solstizio d’Inverno, ella scendeva sui campi innevati,
per benedirli ed accertarsi che fossero fertili e pronti per le prossime
semine. Cavalcava uno splendido corsiero bianco, e stormi di cicogne
e rondini la precedevano e ne annunciavano l’arrivo. Al suo seguito
v’erano invece bellissime divinità femminili, che volavano
in groppa ai gatti, e le anime dei bimbi non nati o morti nei primi
anni d’età.
In tal modo si recava a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del
camino, e spargeva i suoi doni di Luce e Fortuna su quelle in cui trovava
armonia, pulizia ed ordine, così come su coloro che vi abitavano
e che nella loro vita coltivavano le stesse buone virtù. Se invece
trovava sporcizia, disordine e disarmonia, poteva anche maledirle, ed
in ogni caso preferiva allontanarsene, ritirando la sua benedizione,
la Fortuna e tutte le cose belle di cui era portatrice.
Per propiziare la sua benevolenza ed il suo ritorno, si usava così
lasciare delle offerte di cibo sui tetti e nelle case, oppure, come
forse accade ancora, le si lasciava una tazza di latte tiepido, la cui
rimanenza veniva data da bere al bestiame la mattina seguente, perché
ne avrebbe aumentato la fertilità.
Talvolta, nel suo vagare notturno, invece che a cavallo la Dea preferiva
viaggiare sul suo carro scintillante, sfidando bufere di neve e gelide
tempeste, e poteva succedere che nella corsa selvaggia esso si danneggiasse.
Ma se nei paraggi c’era qualche uomo che si offriva di ripararlo,
allora ella gli avrebbe in cambio regalato delle schegge di legno fatato,
che ben presto si trasformavano in oro puro. Un oro che forse potrebbe
richiamare non tanto la ricchezza che viene dalla materia, quanto quella
che viene dal profondo e che può essere nutrita solo con ciò
che è armonioso e naturale, ovvero con ciò che è
fatto della sua stessa brillante e invisibile sostanza.
Come Signora della filatura, soprattutto del lino, Holla era protettrice
delle filatrici, che si intrattenevano al fuso fino tarda sera. Quest’arte
veniva infatti svolta solo dopo tutti gli altri lavori domestici, nel
silenzio e nella quiete della notte.
Nelle sue visite solstiziali, la Dea osservava scrupolosamente il filato
che le donne producevano ed il modo in cui esse lavoravano, premiando
quelle che filavano con cura e impegno con conocchie piene del migliore
lino, oppure, in certi rari casi, riempite, di bellissimi fili dorati
– forse il segno di una Fortuna molto particolare, ovvero un’offerta
di seguire il magico filamento d’oro che proviene dai mondi fatati
e che porta a riunirsi alle Antiche Armonie.
A volte, al mattino, poteva anche accadere che le donne trovassero il
proprio lavoro terminato, segno che la Dea aveva molto apprezzato ciò
che aveva veduto.
Capitava però che Holla trovasse filatrici negligenti, pigre
e svogliate, che producevano un brutto filato e davano poca cura a tutto
ciò che facevano, ed in questo caso ella aggrovigliava o rompeva
il loro lavoro, gettando le conocchie a bruciare nel camino
– un segno della sfortuna, delle avversità che impongono
i nodi, ovvero gli ostacoli, e confondono la Via, facendo tornare al
principio per ricominciare tutto daccapo.
Era tradizione, comunque, finire tutti i lavori di filatura entro il
Solstizio d’Inverno, per non lasciare nulla di incompiuto e perché
altrimenti la Dea si sarebbe adirata. Nei dodici giorni dopo il Solstizio,
infatti, il fuso non doveva essere toccato.
In epoca cristiana, a proposito di questa credenza, era d’uso
tra le giovani filatrici riempire le conocchie di lino la notte di Natale,
lasciandole così fino al mattino, perché si credeva che
Dama Holla, vedendole, avrebbe detto “tanti fili, tanti anni buoni”.
Le fanciulle dovevano poi liberare subito le conocchie, perché
se sulla via del ritorno, che avveniva l’ultima notte dell’anno
oppure il sei di gennaio, la Signora avesse visto le conocchie ancora
piene, avrebbe detto “tanti fili, tanti anni cattivi”.
Holla amava molto i bambini piccoli, e se lasciavano la vita li accoglieva
nel suo gioioso corteo. Nelle loro nanne, a volte, poteva anche succedere
che ella li cullasse, facendo lentamente dondolare le culle quando la
balia si era addormentata, e proprio come una dolce nonna li proteggeva
amorevolmente e vegliava su di loro.
Con il finire dell’inverno, il lento sciogliersi della neve,
lo scioglimento dei ghiacci e il rinverdire della terra, anche la Dea
Holla mutava il suo aspetto, riprendendo tutte le sfumature del sacro
Ciclo della Natura. Il suo volto di vecchia e la pelle raggrinzita si
stendevano e ritornavano lisci e giovani, ed ella diveniva una fanciulla
bellissima e radiosa come gli alti raggi del sole. Il suo corpo tornava
florido, la pelle morbida e lattea, avvolta in veli trasparenti e sottili
come la brezza profumata, ed una bianca luce si irradiava da lei, in
un alone di magia luminosa che toccava tutto ciò che le giaceva
attorno.
La si poteva scorgere mentre, nuda, faceva il bagno in una fonte fresca,
in un fiume o in un lago, ma la visione non durava che il tempo di un
battito di ciglia.
Amava moltissimo trascorrere il tempo nelle belle montagne, nelle grotte
umide, nei misteriosi sotterranei naturali pieni di tesori e pietre
preziose. Ed amava anche dimorare nei laghi e nelle sorgenti, che le
erano sacri e che donavano a coloro che vi si bagnavano la guarigione
del corpo e dello spirito, oppure dei bambini alle donne che desideravano
diventare madri.
Ma non è tutto. Le fonti tanto care alla Dea si diceva fossero
dei luoghi di confine e di passaggio fra i due mondi, quello degli uomini
e quello incantato delle entità di luce, la dimora eterna dello
Spirito. Tramite questi magici specchi d’acqua si racconta che
le anime dei bimbi entrassero nel mondo e, trasportati da maggiolini
fatati o dalla maestosa cicogna, andassero ad abitare nelle pance delle
loro mamme, sotto gli auspici di Holla, che vegliava su di loro sempre.
Secondo
le fiabe e le leggende, era sempre la lucente Dea a creare sulla terra
i fenomeni atmosferici, dalla sua dimora segreta fra le soffici e candide
nuvole. Quando sprimacciava il gonfio piumone del suo letto, i nugoli
di bianche piume che ne volavano via scendevano come dolci fiocchi di
neve sulla Terra. La nebbia che ammantava le vallate nasceva dal fumo
del suo fuoco. La pioggia benefica cadeva quando ella stava usando l’acqua
per lavare, mentre quando lavorava il lino, si vedevano i lampi e si
sentivano i tuoni del temporale.
Era lei che faceva sorgere il Sole, ogni mattino, ed in primavera rendeva
fertili i campi e risvegliava i graziosi meli, che al suo tocco delicato
fiorivano.
Le erano particolarmente sacre due piante, ovvero il lino ed il misterioso
e vecchissimo albero chiamato Holler o Hollunder; ma anche la piccola
alchemilla, che stilla rugiada celeste, e la bellissima veronica alpina,
dai fiorellini turchini.
Il lino dagli splendidi petali azzurri è la gemma della luce,
il fiore della candida purezza, come il delicato filo che se ne ottiene
lavorandolo e che si può filare solo se inumidito.
Esiste una bellissima storia, a proposito del legame della Signora con
il lino, che racconta di un povero coltivatore, che si ritrovò
sulla cima di un monte in una grotta piena di oro e cristalli preziosi.
Qui gli apparve Holla, nelle sembianze di una regina bellissima attorniata
dalle sue vergini ancelle, e gli disse che poteva chiederle tutto ciò
che desiderava. Ma il coltivatore, per nulla attratto dalle ricchezze
di cui era colma la grotta, vide fra le mani della Dea un mazzetto di
fiori e la pregò di donargli quelli, poiché a lui sarebbero
stati più che sufficienti. Questi fiori, che sulla Terra erano
ancora sconosciuti, erano quelli della pianta del lino.
Holla offrì quindi al coltivatore una borsa piena di semi e gli
disse di spargerli sul suolo, e quando le piantine fiorirono e furono
pronte per il raccolto, ella visitò i campi azzurri dell’uomo
ed insegnò a sua moglie a filare e a tessere il lino, in una
stoffa leggera e di nobile bellezza.
Per quanto riguarda il misterioso Hollunder, sotto al quale si diceva
che dimorassero i morti, non vi è certezza di quale albero fosse
realmente, ma è probabile che si trattasse di Holantar (che significa
“albero di Holla” in antico tedesco), nome con cui si indicava
il sambuco tra i germani.
Ed il sambuco si diceva che fosse l’albero delle Fate, la sorgente
delle visioni magiche ed una delle porte della morte, ma anche della
rigenerazione, della guarigione e del nutrimento.
Il suo nome germanico “richiamava la leggenda nordica secondo
cui una magnifica fanciulla dai capelli color dell’oro abitasse
l’albero di sambuco. Ella amava questo albero soprattutto se cresceva
vicino a sorgenti e fiumi, cascatelle e ruscelletti, in cui poteva bagnarsi
come una ninfa dei boschi.
La misteriosa fanciulla non era altri che Holle (Holda/Frau Holle),
la Regina delle Fate.” (2)
La luce benevola e gentile di Holla, però, non permeava tutta la sua essenza, poiché questa era fatta anche di ombre inquiete. Ella “era sì la splendente e luminosa Madre, ma era anche Signora del regno sotterraneo ed infero, ed era quindi legata al potere ctonico e alla Morte”, forse assimilabile sotto questa luce alla spaventosa Hell, terribile Dea degli Inferi. (2)
Holla poteva diventare spietata ed era la Dea che conduceva i morti nell’Altromondo, attraverso i pozzi, gli oscuri recessi dei monti, le grotte buie ed i profondi crepacci. Per questo veniva considerata anche una Dama della tomba, del trapasso e del rinnovamento, personificazione delle potenze della vita che si rigenera.
Con il sopraggiungere del Cristianesimo, la magnifica Dea venne in certi casi tramutata in un demone notturno, che si diceva si aggirasse nelle fredde notti invernali guidando un corteo di anime, penose e piangenti, di bambini morti senza aver ricevuto il battesimo.
La bellezza ed armonia originarie furono sostituite, anche questa volta, con visioni lugubri e sofferenti, cupe, pregne di quell’atmosfera angosciante e tormentosa tanto cara alla religione dominante.
In altri casi, però, la cristianità non riuscì a trasfigurare la divina Signora, ed ella sopravvisse nelle fiabe (3) e nella tradizione popolare, che ancora oggi la preserva nella memoria, la onora e le fa dolci offerte nei dodici giorni dopo il Natale, come buona e dolce Befana che elargisce i giusti doni per ognuno, e che dispensa la sua Luce e la sua Fortuna.
Berchta/ Perchta/ Berta
Berchta
era la benefica protettrice dell’agricoltura, delle semine e dei
raccolti, e si diceva rendesse fertili la terra e gli animali, favorendo
la nascita di vitellini sani e robusti. Secondo i racconti popolari,
la si poteva a volte intravedere nelle gelide notti invernali, quando
benediva e nutriva i campi coltivati, aleggiando lieve nel suo lungo
e ampio mantello bianco simile ad una leggera nebbiolina incantata.
Pare che le sue origini fossero celtiche, ed il suo nome, che a seconda
delle zone cambia un pochino, risale all’antico alto tedesco berath
o berth, ovvero “lucente”, “splendente”, “luminosa”,
ed indica la sua intima natura di luce, estremamente simile a quella
della stessa Holla, della quale ritrae talmente tanti aspetti che spesso
le due Dee vengono identificate l’una con l’altra.
Come Holla, infatti, anche Berchta si recava a far visita alle case
nelle notti vicine al solstizio d’inverno, compiacendosi se le
trovava ben pulite e ordinate, ed irritandosi se erano poco curate e
sudice, perchè sopportava poco la pigrizia; e come Holla, proteggeva
i bimbi, vivi e morti, e aveva a cuore le filatrici, specialmente quelle
zelanti. Controllava accuratamente i loro arcolai e le conocchie, e
dopo il tramonto del sei di gennaio, compariva a quelle che stavano
lavorando al fuso, portando loro delle spole vuote ed incoraggiandole
a riempirle di filo entro un certo tempo ed in modo impeccabile. Se
non ci riuscivano, la Dea avrebbe ingarbugliato e sporcato il loro lino,
ma se ce l’avessero fatta, avrebbe fatto loro dei doni magnifici.
Il periodo sacro a Berchta era quello della neve e del ghiaccio, delle
fitte nebbie e della brina. Ella appariva nelle forme della vecchia
Befana intorno al solstizio, nei dodici giorni dopo il Natale ed in
particolar modo nella magica notte del sei gennaio, chiamata proprio
“la notte della Berchta”, la cui vigilia era usanza preparare
e gustare in onore della Dea le deliziose torte di farina e latte, lasciandone
per lei qualche fetta, perché, segretamente e senza essere vista,
sarebbe passata ad assaggiarle. Però non si doveva attardarsi
per aspettarla, sperando di vederla, perché se qualcuno ci fosse
riuscito ne sarebbe rimasto abbagliato ed avrebbe perso la vista per
tutto l’anno.
Berchta appariva spesso nelle sembianze di una donna molto anziana,
coi capelli arruffati e gli abiti scuri e logori, ma il suo apparire,
come quello di Holla, poteva mutare radicalmente.
Secondo altre storie, ella viveva nel misterioso mondo sotterraneo e
da lì emergeva una sola volta all’anno, splendida e luminosissima,
abbigliata di una veste incantevole, per spargere la segale sui prati
alpini e benedire le campagne.
Nel periodo medievale, anche a Berchta vennero attribuiti tratti demoniaci
e malvagi, tanto che veniva descritta come una orribile e crudele megera
che rapiva i bambini, o che usava il suo grande naso adunco, fatto di
ferro appuntito, per ucciderli.
Ma ciò nonostante, e sebbene il cristianesimo avesse condannato
l’usanza di porre offerte di cibo sui tetti, dichiarandola superstizione
idolatra, il popolo continuò a fare ciò che aveva sempre
fatto e ad immaginare la divina Berchta come una Dea o una Fata di grande
bellezza, con gli occhi pieni di luce, i lunghi capelli biondi come
l’oro ed il viso sempre benevolo e sorridente.
Il Corteo delle Fate
Berchta,
così come Holla, era anche la risplendente Signora del Corteo
delle Fate, che correva per le montagne, sulle alte cime e nelle valli
verdeggianti nelle notti del solstizio d’inverno e nelle ricorrenze
magiche in cui i netti confini che separano i due mondi si rendono più
sottili e si perdono nelle brume, lasciando trapelare ciò che
solitamente nascondono.
Nel buio rischiarato solo dal brillare delle stelle, si diffondeva un
velo leggero di luce bianca, come nebbia luminosa, e poi iniziava a
sentirsi vibrare nell’aria il tintinnio cristallino di tantissimi
campanellini, che si spostavano da una cima di monte all’altra,
rivelando la presenza fatata del magnifico Corteo di Luce.
Fate, folletti, streghe, animali di ogni specie, anime infantili e tantissime
altre essenze luminose, tra cui a volte erano presenti anche scarpe
che camminavano da sole, scope animate e persino una grande oca zoppa,
componevano il seguito della meravigliosa Berchta, emanante infinita
bellezza ed armonia, e correndo per le vie dei paeselli, con in mano
un bastone nodoso ed un grosso sacco, raccoglievano le offerte lasciate
per loro sui tetti, fatte di torte dolci, focacce salate e altre leccornie,
di cui erano golosissimi.
In certe occasioni, il Corteo era diviso in due gruppi di entità
fatate: da una parte quelle belle, dagli abiti fini e chiari, adorne
di fiori e nastri colorati; dall’altra quelle più sinistre,
dalle vesti scure e stracciate, con catene stridenti, sonagli, un bastone
ed un sacchetto pieno di cenere, che gettavano negli occhi di coloro
che incrociavano nella loro folle corsa. Berchta saltellava da un gruppo
all’altro e, a seconda di quanti salti faceva, si poteva determinare
la fertilità, la Fortuna e l’abbondanza che avrebbero caratterizzato
l’anno che stava iniziando.
Questi passaggi dalla schiera lucente a quella ombrosa, e viceversa,
potrebbero anche voler ricordare il doppio volto della Dea, e la sua
appartenenza alle potenze della vita, del giorno luminoso, del rigoglio
e del nutrimento, come a quelle della morte, della notte oscura, della
sterilità e del deperimento; poiché ella rispecchia totalmente
la Natura.
Il magico e lucente Corteo doveva però rimanere segreto e nessuno
doveva uscire di casa o restare per le strade a sbirciarlo curiosamente.
Anche in questo caso, infatti, chi si fosse intrattenuto sarebbe rimasto
accecato per il resto dell’anno, oppure sarebbe stato reso inebetito
e delirante, con il rischio di perdersi nei fitti boschi o di cadere
giù da un burrone. Del resto la bellezza della Visione era tale
che avrebbe immediatamente reso folle d’incantamento chiunque.
In qualche rarissima eccezione, invece, se si fosse attardato qualcuno
che per qualche incomprensibile motivo fosse stato gradito al Corteo,
questi poteva venir rapito e condotto in luoghi indescrivibili, dai
quali sarebbe stato portato indietro solo l’anno successivo.
Chi ritornava, però, non era più come prima e la trasformazione
interiore si manifestava con lo sbocciare di fiori dalla sublime bellezza
fra i capelli, tra le dita delle mani e quelle dei piedi.
Inoltre, se la Dea avesse incontrato qualche dolce e bella fanciulla
dal cuore gentile, avrebbe potuto offrirle di entrare a far parte del
Corteo stesso, trasformandola in una Strega, in una Fata, oppure nell’animaletto
segreto che era parte della sua natura interiore.
Ed in effetti, in molte versioni della leggenda del Corteo delle Fate,
si dice che al seguito della splendente Regina vi fossero anche le anime
delle fanciulle e delle donne naturali ed armoniose, che per la loro
saggezza e per i loro poteri magici, erano in grado di abbandonare il
proprio corpo, volandone via in forma di spirito luminoso o animale.
Mentre le loro spoglie riposavano in un sonno profondo, esse seguivano
la Dea notturna, che le chiamava con i suoi bagliori intensi e con i
suoi campanellini d’argento. Percorrevano grandi distanze in un
baleno e visitavano luoghi bellissimi, appartenenti sia alla realtà
sensibile, sia alle dimensioni sottili, partecipando alla gioiosa corsa
delle entità di luce. E quando ritornavano, rientravano silenziose
nel proprio corpo, risvegliandosi a mattino piene di quella meraviglia
e di quella felicità che solo le visioni divine, e tanto più
il partecipare ad esse, possono infondere.
Sebbene il Corteo delle Fate venga spesso confuso ed identificato con
altri tipi di cortei dal carattere completamente differente, come quello
tipicamente guerresco e maschile della spettrale Caccia Selvaggia, esso
si distingue e si riconosce sempre per la sua appartenenza alla sfera
unicamente femminile, “ad un mondo segreto e separato, composto
di sole donne, governato da una dea materna e sapiente”, nonché
per la sua particolare propensione a dispensare fortuna e abbondanza.
(4)
A seconda delle regioni e dei paesi di appartenenza, la Regina delle
Fate ed il Corteo stesso hanno assunto nomi diversi (5), mantenendo
però immutate le loro caratteristiche e la loro funzione sacra,
ed è più che certo che all’origine della loro leggenda,
proveniente dalle antiche tradizioni celtiche, vi fossero riti solstiziali
volti a propiziare il ritorno della luce solare, la fertilità
della terra e degli animali, la buona sorte e le magiche influenze delle
fate.
Inutile dire che la religione cristiana condannò pesantemente
tutto questo e, travisando in tutto e per tutto la natura di queste
usanze dallo spirito armonioso, le ridipinse come pratiche peccaminose
di cui ci si doveva vergognare, attribuendo alle donne che forse segretamente
vi partecipavano, il nome di “streghe” e perseguitandole
follemente con le conseguenze che ben si conoscono.
Frigg e la sua ancella Fulla
Tutte
le qualità e le funzioni magiche delle lucifere Holla e Berchta,
così tanto simili fra loro, convergono e coincidono con quelle
della amorevole Dea Frigg, la Grande Madre divina che aveva generato
tutte le divinità e tutti gli spiriti e le creature naturali,
e che per questo veniva chiamata “Colei che viene prima di tutti
gli altri”.
Ella era “la Donatrice”, nel cui ventre brillava il sacro
germe che dà vita a tutta la Natura, ed era la custode e la personificazione
stessa dell’antica Saggezza senza tempo e della profonda sapienza
femminile.
Il suo bel viso, incorniciato dai lunghi e folti capelli biondi, era
coperto da un velo che ricadeva soffice sino ai piedi, ed ella portava
appeso al fianco un grande mazzo di chiavi – forse un simbolo
della possibilità di schiudere le porte segrete che conducono
al di là del visibile, di accedere a qualcosa di nascosto e di
conoscere i Misteri che la Dea stessa rappresentava e conservava con
cura.
Frigg era Signora delle acque che scorrono nelle morbide venature terrestri,
e così delle fonti, dei fiumi, dei laghi, delle infinite distese
blu dei mari, ed anche delle nuvole e della pioggia, che ella faceva
discendere dal cielo perché allietasse la vegetazione assetata.
La sua protezione si stendeva sull’agricoltura e sul bestiame,
che doveva essere sempre trattato con amore e premura; ed anche sul
caldo focolare di ogni casa, sui bambini e sulle loro madri.
Si raccontava che tutte le arti e le abilità delle donne fossero
segretamente ispirate da lei, e che fossero il regalo che lei aveva
fatto al mondo. Più di ogni altra, però, le era cara la
Filatura, e secondo le leggende era lei che, al principio dei tempi,
aveva mostrato alle donne il suo sacro fuso ed aveva insegnato loro
a filare.
La Dea era, infatti, la prima Filatrice e possedeva una conocchia d’oro
sulla quale filava un filo tanto sottile da sembrare seta. Le filatrici
che lavoravano bene, con amore e attenzione, erano da lei ricompensate,
mentre quelle che lavoravano in malo modo venivano severamente punite.
Allo stesso modo, le case ben tenute e spolverate o quelle trascurate,
ricevevano una buona o cattiva sorte, a seconda dei casi.
A Frigg erano sacri i gatti, che trainavano il suo magnifico carro nelle
notti in cui ella correva per il cielo; e poi le rondini, il cucù
dallo spirito profetico e la cicogna, che volava in aiuto dei bambini
che cadevano nelle paludi o nei corsi d’acqua, salvandoli dalla
morte e restituendoli alle loro mamme.
Le era sacro anche il periodo invernale e i dodici giorni e le dodici
notti che seguivano il solstizio d’inverno, durante i quali le
giovani non dovevano filare per alcun motivo, poiché Frigg si
sarebbe offesa se in tali giorni il fuso non fosse stato lasciato a
riposare.
In queste dodici notti – oppure in quelle che intercorrono fra
Natale e la Befana – la Dea faceva visita a tutte le case per
portare le proprie luminose benedizioni, ed al suo fianco l’accompagnava
sempre la sua amata e fedele ancella, Fulla.
Questa fanciulla, vergine nel senso antico del termine, aveva capelli
d’oro lunghi e lucenti come il sole ed era la personificazione
della terra verdeggiante, rigogliosa, traboccante di vita e ricca di
frutti. Era la Dea dell’abbondanza e del nutrimento che proviene
dalla Natura e la Custode dei calzari e dello scrigno dei gioielli di
Frigg – forse un emblema del suo grembo divino – dal quale
traeva e distribuiva doni preziosi.
Nelle notti in cui, con la sua Signora, si recava a visitare le abitazioni,
Fulla controllava tutte le cantine e le rimesse dove venivano raccolte
le provviste per l’inverno. Se trovava i cibi ed il vino ben ordinati
e a sua disposizione, li assaggiava, ed in tal modo concedeva le sue
benedizioni; se invece trovava tutto sparso in modo disordinato, oppure
chiuso a chiave, non assaggiava nulla e di conseguenza non dispensava
la sua buona Fortuna.
Dopo le cantine, ella andava a vedere le stalle, per accertarsi che
gli animali fossero sistemati bene e al caldo, e spesso si intratteneva
a pettinare dolcemente le lunghe criniere dei cavalli.
Per farsi luce, teneva sempre accesa una candela, e piccole gocce di
cera sul pavimento, sul legno o tra la paglia potevano essere un segno
del suo passaggio.
Gli aspetti ed i sacri compiti della Madre Frigg e della sua devota Fulla, così come quelli di Holla e Berchta, si somigliano e coincidono fra loro in modo sorprendente, tanto che non è difficile intravedere in queste luminose divinità dai diversi nomi la stessa ed unica essenza.
Vi è però una particolarità comune a tutte che merita d’essere ancora approfondita, perchè potrebbe alludere ad un piccolo insegnamento che le Dee vogliono forse far intendere. Questa caratteristica si trova nel legame, chiaro e indissolubile, che esse hanno con il fuso, la filatura e le filatrici.
Il Fuso, la Filatura, la Filatrice
Il
fuso è uno dei più antichi simboli delle magiche arti
femminili e si ricollega ad una moltitudine di visioni che richiamano
i segreti dell’esistenza e dell’inconoscibile destino.
Si tratta di uno strumento che, attraverso il movimento ritmico e costante,
trasforma la materia grezza ed informe in un prezioso filamento, con
il quale è poi possibile tessere una trama e creare un tessuto.
Lavorando ad esso, su di un piano sovrasensibile e simbolico, la divina
Filatrice dà una forma alla libera energia e ne diventa prima
artefice, facendo da tramite fra la forza generatrice e la sua manifestazione,
ovvero fra l’immobile Origine, nebulosa e iridescente, e il Divenire
perennemente mutevole, con i suoi sacri Cicli di terra e di luna.
Come lunare e notturna trasmutatrice, che opera nelle cavità
terrose e recesse, velata e inaccessibile, ella permette che il Sogno
divino divenga Realtà sensibile, e nelle sue mani, a sua totale
discrezione, il Destino inconoscibile, indistinto come una nuvola di
morbido e plasmabile cotone, diventa Sentiero vivente, sul quale ognuno
è guidato da un filo invisibile, eppure a volte intuibile. Un
filo che nasce dal Destino stesso, ne fa parte, e ad esso tenderà
sempre a ricongiungersi – come un cerchio che si chiude –
poiché non potrebbe fare altrimenti.
Sedute al loro sacro fuso, le Antiche Filatrici filavano, quindi, le
sorti e la Fortuna dell’uomo, decidendone il momento della nascita,
la durata della vita e l’istante inevitabile della morte, che
decretavano con un netto taglio del filo. Ed il loro grande ed archetipo
lavoro si rispecchiava, come tanti minuscoli e sparsi riverberi, nel
piccolo mondo femminile, in cui anche le donne sedevano silenziosamente
al filatoio, a tarda sera, e forse perdevano il senso del tempo e del
pensiero, lasciandosi incantare dai gesti ripetuti infinite volte e
percependo una centralità che risiedeva nel profondo.
Esse ovviamente non filavano il Destino degli uomini, però, nell’intima
realtà delle loro semplici casette, potevano forse filare il
proprio…
La filatura, infatti, era l’arte legata al Fato e alla Fortuna
per eccellenza; non alla fortuna falsa e materiale, quale può
essere intesa quella che permette di diventare ricchi e di avere successo
nella vita, ma quella sottile che proviene dall’Altromondo, e
che forse può facilitare un cammino interiore verso la comunione
con la Natura, la Conoscenza delle dimensioni sottili, della limpidezza
animica e della verità che in essa si cela. (6)
Nel suo modo di filare, ma anche di svolgere una qualsiasi altra mansione
quotidiana e, semplicemente, nel modo di essere ed agire, la filatrice
poteva modellare attivamente il suo Destino, attirando o respingendo
la Fortuna delle Dee luminose, e quindi il loro magico aiuto, la loro
indifferenza o la loro terribile ostilità. Tutto dipendeva da
lei soltanto, non da altri, poiché era lei sola a tenere tra
le dita il filamento grezzo della propria vita e a decidere come filarlo.
Ella poteva brillare nel cuore delle Fate da innumerevoli secoli, ma
poteva anche richiamare la loro attenzione ed il loro affetto in questa
vita, agendo in un modo impeccabile, consapevole e dettato da spontaneità
ed amore.
Poteva quindi ricevere in dono il brillante filo d’oro o, al contrario,
ritrovarsi con in mano un ammasso ingarbugliato di fili annodati e sporchi.
Oppure ancora, poteva crogiolarsi nell’idea di essere di per sé
molto fortunata perché possedeva molte cose, senza rendersi conto
di trovarsi nella più pura casualità e nella totale noncuranza
– forse un poco divertita – delle vegliarde Filatrici.
La verità è che ogni cosa ella ricevesse e raccogliesse,
germogliava solo da ciò che ella aveva coltivato e da come lo
aveva fatto, così com’è vero che la Fortuna è
sempre frutto della propria azione –
“Quisque Faber Fortunae Suae”.
Questo è forse l’insegnamento che le antiche Dee e, più tardi, la Befana, tenevano e tengono tuttora a dare alle loro amate protette, così che esse ne comprendano l’importanza ed imparino a filare al meglio la propria vita.
Le origini della Befana
L’immagine della povera vecchina dalle vesti lise, che attraversa
i cieli cosparsi di stelle e la bella e bianca luna nella gelida notte
d’inverno, per distribuire dolcetti e carbone, è dunque
tutto ciò che è sopravvissuto nella nostra tradizione
delle splendenti Dee di Luce e Fortuna.
Eppure non è difficile, per chi desidera andare oltre la superficie,
scorgere oltre il suo laido viso sempre sorridente e gentile, la sua
appartenenza ai mondi antichi e le sue lontane radici che ben vi attecchiscono.
A volte pare addirittura che ella voglia mostrare una porticina segreta
che si nasconde oltre la sua figura, la quale si apre su di un regno
incantato che lei stessa ancora incarna, sebbene quasi più nessuno
se ne interessi o ne sia a conoscenza.
Al
di là di quel piccolo varco magico, la Befana si riappropria
finalmente della sua vera sembianza, e bisogna quasi proteggere gli
occhi per non rimanere accecati dinnanzi alla visione abbagliante che
ella mostra di sé, come del resto poteva succedere a chi tentava
di vederla aggirarsi per le campagne, nei tempi in cui i suoi nomi erano
altri e diversi, e richiamavano sempre la sua essenza di luce.
Ella, infatti, altri non è che la stessa Holla, e Berchta e Frigg
e Fulla, ed infinite altre luminose divinità femminili della
Natura incontaminata, elargitrici di doni ed abbondanza, legate alla
vegetazione, agli animali, alla fertilità ed alla Fortuna.
È la luminosa Dea del ciclo eterno, che muta la sua forma e conduce
le stagioni. Portatrice di nuova vita e luce nel freddo e buio inverno,
può assumere un aspetto incantevole, giovane e vigoroso, ma anche
uno completamente opposto, orrendo, vecchio e spaventoso, “a rappresentare
un ciclo completo dalla nascita alla morte e alla rinascita.”
(7)
È l’antica Fata (8), Filatrice del Destino e Dea del Karma,
che trasmette la sua arte alle donne perché la impieghino nelle
loro vite; e la Coltivatrice delle profonde terre interiori, che insegna
a coltivare i Semi nascosti, perché possano diventare ciò
che sono nati per essere.
Il suo culto, ricorda quelli dedicati alle Matres o Matronae primordiali,
Antenate genitrici di tutta la Natura, premurose e amorevoli protettrici
delle donne, delle partorienti, dei neonati, e al contempo dei bimbi
non nati e del sotterraneo mondo dei morti; e fra di esse, in modo particolare,
richiama le Matres Domesticae, poiché come loro è custode
del sacro focolare domestico, della casa e dei lavori femminili. Per
questo forse non è una coincidenza che ella faccia uso proprio
del camino, dimora del fuoco, per introdursi nelle abitazioni e per
farvi ricadere magicamente tutte le cose buone di cui è portatrice.
La sua festa è molto preziosa perché è forse una
delle uniche rimaste quasi intatte, nel corso del tempo e nonostante
l’alterazione cristiana. E lo stesso la sua cara e tanto amata
figura, eco delle divinità femminili che a lei hanno affidato
la loro memoria perché non si spenga e continui a brillare, così
che qualcuno possa scorgerne la luce e magari decidere di seguirla.
E chissà che, nel farlo, non si intuisca il luccichio fugace
di un magico filamento dorato…
od il lontano tintinnare di tanti, piccoli campanellini.
Appendice: altre entità
simili alla Befana nel Nord dell’Italia
In Italia la leggenda della Befana si può trovare ben radicata dal settentrione al meridione, e nei racconti popolari di certi paesi centro-settentrionali, esistono ancora alcuni spiriti fatati molto simili a lei, che hanno ben conservato le caratteristiche ed i compiti delle divinità trattate in questo testo.
A Bologna, per esempio, c’erano le Borde, che evocavano e spargevano la fitta e bianca nebbia, mentre, ad Istria, le Rodie cavalcavano le grigie nuvole cariche di pioggia e grandine, sospingendole sui campi.
Vicino a Como, la Donnetta Grigia, chiamata in tal modo perché portava sempre sulle spalle uno scialle di lana grigio, compariva nottetempo, sulle scale buie che scendevano nelle cantine. Bisognava trattarla bene e con ogni gentilezza, perché così avrebbe benedetto e protetto la casa e coloro che vi abitavano; altrimenti, se fosse stata trattata male, sarebbe diventata tremenda e pericolosa.
Nelle zone intorno a Brescia, invece, le Bonae Res bussavano alle porte delle abitazioni a notte fonda, chiedendo accoglienza ed un poco di cibo. A seconda del trattamento ricevuto, donavano fortuna o sfortuna.
V’era anche la Donnina del Tetto, che si divertiva a stare sui tetti delle case spiando dalle finestre il modo di comportarsi degli abitanti, e forse portando sempre la buona o la cattiva sorte a seconda di ciò che vedeva.
Infine, in Val Camonica, una gentile vecchina, chiamata Mandola, si aggirava nei bei prati verdi e nei boschi umidi ed ombrosi, per spargere, insieme ai suoi amici folletti, una polverina magica che faceva crescere i funghi porcini.
Altre entità simili si possono trovare in altri paeselli, tuttavia queste sono forse quelle che più ricordano le Dee precedentemente trattate, nonché la buona Befana, che sempre vive e trasmette amore nel cuore di grandi e piccini.
* Articolo di Violet. tratto da Il
tempio della Ninfa e, pubblicato su www.ilcerchiodellaluna.it
nel dicembre 2010
Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell'autrice
e senza citare la fonte.
Le informazioni dell’'Appendice
sono state tutte raccolte dal testo Entità Fatate della Padania,
di Alberta Dal Bosco e Carla Brughi, Edizioni della Terra di Mezzo,
Milano, 1993, pagg. 31-32-33
Note al testo
1. Il cristianesimo, non potendo ovviamente
accettare una festività in onore della Dea di Luce e Fortuna,
e non potendo fare nulla per evitare che la tradizione popolare ne mantenesse
vivo il ricordo tramite la figura della Befana, ne alterò completamente
la storia, privandola della sua bellezza e rendendola abbastanza “ammissibile”
per il proprio credo.
Secondo la versione cristiana, i Re Magi, mentre si stavano recando
a portare i loro regali a Gesù bambino, persero la strada e chiesero
informazioni ad una vecchia. Ella rispose alle loro domande ma, nonostante
le loro insistenze, non accettò di accompagnarli a far visita
al neonato. In seguito, si pentì di non essere andata con loro
e, dopo aver preparato un gran cesto pieno di dolci, uscì per
cercarli, fermandosi ad ogni casa che incontrava lungo il suo cammino
per lasciare i suoi doni ai bimbi, nella speranza che uno di questi
fosse Gesù. La vecchia però non riuscì mai a ritrovare
i tre Magi e nemmeno il bambino, e da allora vaga per il mondo, distribuendo
dolci ai fanciulli nella speranza di essere perdonata.
Evidentemente questa storia permeata di patimento e speranza di redenzione
era più che adatta alla visione cristiana. Ma forse non si può
dire lo stesso nei confronti di chi era affezionato alla bella ed armoniosa
verità.
2. Citazioni da Sambuco
, ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa
3. Vedi Frau Holle, dei Fratelli Grimm, o Le
Fate di Perrault.
Esistono comunque moltissime altre fiabe in cui Vecchine e Streghe riprendono
le caratteristiche di Holla così come i suoi intenti.
4. Cfr. Carlo Ginzburg, Storia notturna: una
decifrazione del sabba, Einaudi, Torino, 1998, pag. 79
5. Sono più che conosciute le storie
di streghe guidate nei loro voli notturni dalla Regina delle Fate, chiamata
Diana, Herodiade, Herodiana, Dama Habondia/Habonde, Abundia (da “abundantia”),
Epona, Hera (non la più conosciuta Hera greca, ma Hera, Era o
Haerercura celtica, Dea semi-sconosciuta a cui sono state dedicate delle
iscrizioni in Svizzera ed in Gallia Cisalpina); ed ancora Satia (dal
latino “satiaetas”, sazietà), Richella, Besonzia
(Bona socia”), Signora Oriente, Bonadomina (“buona signora”),
Signora del Gioco ed in altri modi ancora.
Anche queste divinità sono originarie della figura della Befana,
similmente a quelle trattate nel testo.
6. Nella fiaba Frau Holle narrata dai Fratelli
Grimm, la fanciulla lascia involontariamente – eppure fatalmente
– cadere il proprio fuso in un pozzo, e per recuperarlo si tuffa
nel baratro profondo e oscuro. In tal modo, ovvero seguendo il fuso
ed il filo, ella si ritrova nel mondo fatato, dove conoscerà
Holla e percorrerà un sentiero nascosto che la porterà
alla Conoscenza, ovvero al realizzarsi del suo Destino.
La caduta del fuso nel pozzo, in questo caso, è evidentemente
un evento Fortunato.
7. Cfr. Marija Gimbutas, Le Dee viventi, Medusa,
Milano, 2005, pag. 266
8. Fata è colei che si occupa del Fato.
La parola, strettamente collegata a fato, ha la sua stessa derivazione,
dal latino “fatum” = “sorte” o “fortuna”.
Fonti
Entità Fatate della Padania,
Alberta Dal Bosco e Carla Brughi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano,
1993
L’'Oro Fatale, Mary Tibaldi Chiesa, Edizioni della Terra di Mezzo,
Milano, 1994
Edda di Snorri, Gianna Chiesa Isnardi, Rusconi, Milano, 1988
Le Vergini arcaiche, Leda Bearné, Edizioni della Terra di Mezzo,
Milano, 2006
Le Dee viventi, Marija Gimbutas, Medusa, Milano, 2005
Le Fiabe del Focolare, J. e W. Grimm, Mondolibri, Milano, 2005
I benandanti: stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento,
Carlo Ginzburg, Einaudi, Torino, 1972 (ristampa 2002)
Storia notturna: una decifrazione del sabba, Carlo Ginzburg, Einaudi,
Torino, 1998
La religione degli antichi celti, J.A. MacCulloch, Neri Pozza, Vicenza,
1998
La leggenda del cacciatore furioso e della caccia selvaggia, Karl Meisen,
edizione italiana a cura di Sonia Maura Bacillari, Edizioni dell’'Orso,
Alessandria, 2001
Figure di donna, Patricia Monaghan, Edizioni Red, Milano 2004
Avalon Within, Jhenah Telyndru, Ninth Wave, 2005
La casa delle Donne dagli occhi luminosi, Ada D’'Ariès,
Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2006
Il corpo della Dea, Selene Ballerini, Atanòr, Roma, 2003
Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estés, Frassinelli,
Milano 1993
Lo spirito degli alberi, Fred Hageneder, Crisalide, Spigno Saturnia
(LT), 2001
Florario, Alfredo Cattabiani, Oscar Saggi mondadori, Milano, 1996
Forum L’'Isola Incantata delle Figlie della Luna < https://freeforumzone.leonardo.it/forum.aspx?c=59706&f=59706>
Frau Holle <
, ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa
Holda < https://www.thorshof.org/holda.htm> , ricerca di Thorskegga
Thorn
Frigg < https://www.thorshof.org/frigg.htm> , ricerca di Thorskegga
Thorn
Holda < https://www.hrafnar.org/goddesses/holda.html> , ricerca
di Diana L. Paxson, originally published in Idunna 30, 1997
Sambuco <
, ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa
Le Filatrici del Destino <
, ricerca di ValerieLeFay pubblicata su Il Tempio della Ninfa
Dizionario etimologico Ottorino Pianigiani: www.etimo.it < https://www.etimo.it>
Un ringraziamento di cuore ad Alessandro per il prezioso contributo
nella ricerca delle fonti.
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