Dee polacche: Zywia e Swetawa
Leggenda raccolta da Drusilla del Fael
Ninfee da https://www.ilcircolino.it/lagodivarese/immagini/lg_ninfee.jpg
Il tema di Zywia e Svetazwa riprende il mito greco del rapimento di Persefone,
o Proserpina, per opera di Plutone, re degli Inferi; ma la vicenda presenta,
come vedrete, nuovi elementi; alcuni riecheggiano la leggenda beotica
di Tespie e quella alessandrina del giovane Narciso che, stando sulla
sponda della sorgente, piega il capo verso l'acqua fino a vedervi riflessa
la propria immagine finché muore e vi cade, altri sembrano precursori
di una religiosità cristiana, come il fatto che la fanciulla voglia
rimanere negli Inferi per consolare i tristi abitatori del mondo sotterraneo
(proprio come Gesù Cristo si sacrificherà, facendosi crocefiggere,
per salvare le persone dal peccato).
Il fiore del narciso e nel caso slavo, invece, quello della ninfea possiedono
un'acuta fragranza che è in grado di stordire. La ninfea compare
frequentemente nei culti slavi precristiani, specialmente in rapporto
alla morte e all'oltretomba.
Il mito
In un’epoca remotissima delle bianche ninfee, in cima ai loro flessibili
steli che l’acqua faceva dondolare, fissavano con sguardo di rimprovero
il cielo, dove gli dei indifferenti se ne stavano beati.
Un giorno esse riuscirono a suscitare l’interesse di Swetawa, la
figlia di Zywia, dea della vita.
La fanciulla, ammirando le bianche corolle che si muovevano dolcemente
sulle acque di un lago, disse alla madre: “Voglio quei fiori!”.
Zywia le fece notare che non avevano né colore, né profumo
e che sarebbe stato pericoloso coglierli perché affondavano i loro
steli nel regno della morte, sulla quale essa non aveva alcun potere.
Ma Swetawa insistette: “Voglio quei fiori. Voglio scendere sulla
terra e toccarli con le mie mani.”
“Non ci pensare nemmeno, figlia mia!” tentò di dissuaderla
la madre: “La terra è un luogo dominato dal dolore. Non vedi
quegli esseri miserabili che si chiamano uomini? Sono esposti a mille
pericoli e stanno immersi nelle tenebre e nel gelo per la metà
del tempo…Che ci faresti tu laggiù, che sei la figlia della
luce?”
Mentre la dea Zywia così parlava, Swetawa osservava la terra con
più attenzione, più la guardava, più sentiva il suo
cuore stringersi per la pena: quegli uomini avevano fame e sete; erano
minacciati da animali feroci, da fiumi e da paludi che straripavano e
li inghiottivano; tormentati dal freddo e bruciati dal sole, dalle malattie
e dalla morte.
D’un tratto una lacrima cadde dagli occhi di Swetawa; era la prima
lacrima di pietà che cadde sulla terra e gli uomini provarono una
sensazione di dolcezza mai provata prima.
“Tu che fai rinverdire la terra a primavera” disse la giovane
dea alla madre “ perché non asciughi il pianto degli uomini?”
Zywia non comprese, anzi si lasciò travolgere dall’ira ed
esplose di rabbia cacciando la figlia dal regno degli dei e mandandola
in esilio sulla terra, fra gli uomini.
Swetawa cacciata dal cielo, scese sulla riva del lago e trovò i
fiori che l’avevano incantata. Si chinò per raccoglierne
uno, ma le ninfee, sollevate dal movimento delle onde, si allontanarono;
poi tornarono e di nuovo fuggirono, come in un gioco misterioso. Swetawa
rideva, rideva…riuscì infine ad afferrare una bianca corolla,
ma perse l’equilibrio e cadde nel lago.
Placata l’ira, Zywia guardò sulla terra per cercare sua figlia,
ma non vedendo di lei alcuna traccia provò una fitta d’angoscia.
Così con il cuore sofferente abbandonò la dimora celeste
e percorse la terra chiamando disperatamente la figlia, che essa stessa
aveva esiliato, e chiedendo di lei a chiunque incontrasse. Ma non la trovò.
Nel frattempo, dato che Zywia non governava più le stagioni gli
inverni incrudelivano e il sole dell’estate bruciava la vegetazione.
L’umanità era alla disperazione.
Zywia decise infine di cercare sua figlia sotto terra. Per rimuovere la
grossa pietra che chiudeva l’ingresso del regno della morte, dovette
chiamare in aiuto la folgore, poi penetrò nella gola buia e profonda.
Camminò e camminò fin quando non si trovò di fronte
ad una parete di cristallo al di là della quale vide, finalmente
Swetawa.
Stava seduta immobile su un trono d’oro, in una stanza con il soffitto
e le pareti di pietre preziose che scintillavano nella penombra; al centro
della stanza, in una vasca di marmo, una ninfea in fiore galleggiava sull’acqua
d’argento.
Zywia chiamò la figlia e al richiamo della madre la fanciulla si
alzò, ma non espresse né gioia, né dolore, né
sorpresa. Disse: “La dea della morte mi ha rapita mentre china sul
lago coglievo le ninfee. Sono diventata la sua compagna, mi ha fatto ritrovare
l’indifferenza verso gli uomini che è la virtù degli
dei.”
“Come puoi tu, che sei figlia della luce vivere in quest’ombra
profonda? Torna con me nel regno celeste?”
“Io sto bene così! Ho imparato a dimenticare l’ira
degli dei e a ignorare il pianto degli uomini. Non senti la pace che mi
circonda?”
Così Swetawa tornò a sedersi sul trono dorato e riprese
la sua immobilità. Zywia, dea della vita, capì che ormai
sua figlia apparteneva la mondo sotterraneo.
Risalì in superficie e per sfuggire al ricordo ossessionante di
Swetawa si diede a rimettere ordine nelle stagioni e cercò di capire
meglio l’umanità.
Si accostò agli uomini e insegnò loro a coltivare la terra,
a costruire attrezzi da lavoro, a tessere la lana e la canapa.
Gli uomini si sentirono amati e conobbero la gioia.
Quando Zywia ritornò nel suo regno celeste, gli uomini scolpirono
la sua immagine nella pietra e nel legno, raffigurandola con una corona
di spighe in testa e una mela in mano.
Da allora, ogni volta che l’uomo getta il seme nella terra, nasce
nel suo cuore la speranza e con essa la gioia, frutto della prima lacrima
di pietà che cadde sul mondo.
Testo di Drusilla del
Fael, www.ilcerchiodelllauna.it, marzo 2007
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