da LUPERCUS a San VALENTINO
a cura di
Manuela Caregnato
San Valentino, oggi nota come festa
degli innamorati, è una delle tante ricorrenze ormai del tutto commercializzate,
le cui origini pagane furono cancellate dalla tradizione cristiana con
la sovrapposizione di un santo, e talvolta con la perdita del significato
originale della festa.
Come ben sappiamo i popoli antichi, per lo più dediti alla pastorizia
e all'agricoltura, tenevano in grande considerazione i momenti più importanti
del ciclo della natura, dal suo risveglio, al raccolto, alla nascita degli
agnelli e dei vitelli e tutto quanto era connesso ai ritmi della terra
e della vita agricola.
Ne è dimostrazione la ruota dell'anno del calendario celtico, ove
ogni festività segna un importante momento di passaggio nel ciclo della
natura e come conseguenza nella vita dell'uomo che vive a contatto con
essa.
E così anche gli antichi romani avevano i loro riti e divinità, con cui
celebravano i momenti più importanti del ciclo agricolo e pastorizio.
Ebbene, Febbraio era un mese particolare, che segnava il passaggio dalla
stagione invernale a quella primaverile.
Un mese da molte culture dedicato alla purificazione, ma anche il mese
in cui si manifestano i primi segni del risveglio della natura.
Le prime gemme erano pronte a fiorire, mentre negli ovili già nascevano
gli agnelli, e i lupi, affamati dal lungo inverno, scendevano a valle
in cerca di cibo, minacciando i greggi.
Così i romani, che con i lupi avevano indubbiamente un rapporto di odio
e amore, per via della lupa che allattò i famosi gemelli, si rivolgevano
al loro dio della natura selvaggia in cerca di protezione.
Lupercus era il nome di questo dio, un fauno cacciatore di ninfe,
sposo e fratello di Fauna, una delle tante rappresentazioni femminili
di Madre Natura.
Si narra che Lupercus proteggesse i greggi dai lupi e riscuotesse in cambio
tributi di cacio e ricotta dai pastori.
In suo onore gli antichi romani celebravano ogni anno un'importante festa,
chiamata i lupercali, che guarda un po', si svolgeva proprio il
15 febbraio.
LUPERCUS FAUNUS
Lupercus Faunus non è che uno dei volti del Fauno,
un Dio della natura selvaggia e degli istinti, prima figlio e poi consorte
di Fauna (1), Dea della natura che fece, come tutte le Dee Vergini, un
figlio senza il concorso del marito, e che in seguito con lui si accoppiò.
Veniva rappresentato col flauto, la cornucopia, abbigliato con pelli di
capra e armato da una clava da pastore. (2)
La sua sposa dunque era Fauna, chiamata anche Fatua e in versioni più
tarde fu associato al Dio greco Pan, oltre che al Satiro.
Il nume di Luperco gli deriva dalla qualità di difensore delle greggi
dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus).
Il Dio aveva doti profetiche e per questo era soprannominato Fatuus. Ma
era anche nume ispiratore e invasante, che cacciava per possedere le sue
prede, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza,
divenivano simili alle Sibille nel loro profetare.
A lui si attribuisce anche l’invenzione degli antichissimi versi saturnii
su cui si fonda la poesia latina.
E' dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe
a cui è connesso, anche associato al timor panico, con apparizioni spaventose
e voci soprannaturali.
Fauno nei secoli assunse significati diversi, da Dio dell’abbondanza,
dipinto sulle pareti di quasi tutte le abitazioni greche e latine, simbolo
di prosperità e della bella vita, cui si rivolgevano continuamente tutte
le preghiere dei pastori e dei contadini, loro protettore e “lupercolo”
benigno per i loro greggi.... fino ad essere considerato infimo demone
dei campi che non dava consigli utili agli uomini ma li esortava solo
al divertimento sfrenato.
I LUPERCALI
"Lupercalia dicta, quod in Lupercali Luperci sacra faciunt. Rex cum ferias
menstruas Nonis Februariis edicit, hunc diem februatum appellat; februm
Sabini purgamentum, et id in sacris nostris uerbum non ignotum: nam pellem
capri, cuius de loro caeduntur puellae Lupercalibus, ueteres februm uocabant,
et Lupercalia Februatio, ut in Antiquitatum libris demonstraui." (3)
I lupercali, come tutte le feste primaverili che celebrano il risveglio
di Madre natura, era un'importante e godereccia festa attraverso cui le
genti dell'antica Roma solevano festeggiare l'avvicinarsi della bella
stagione e contemporaneamente propiziarsi buoni futuri raccolti e la fecondità
della terra e dei suoi abitanti.
Per fare questo essi si purificavano ed inscenavano un loro particolare
rito.
Pare
che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco,
ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa
trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma.
Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro
misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una
capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con
il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva
le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle
con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente,
come prescritto dalla liturgia.
I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne
le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con
i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso
e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati
di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro
da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne
da “fecondare”. Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati”
e resi fertili, sia la terra che gli individui.
In particolare le donne, per ottenere
la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo
di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle
mani).
I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri
quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente
potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi
nel loro percorso intorno al Palatino.
La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una
simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle
giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in
bigliettini dentro due appositi contenitori.
Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano
un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un
anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la
benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle
grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi
nel modello mitico universale noto come la lupa.
Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza
significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo.
L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo,
quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa
degli innamorati.
I LUPERCI
I luperci erano i sacerdoti del dio Lupercus e nell'antica
Roma godevano di un gran prestigio.
Diretti da un unico magister, essi erano divisi in due schiere di dodici
membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani -"dei Fabii", fondati da Remo,
e Luperci Quinctiales -dei Quinctii", fondati da Romolo (ai quali per
un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza schiera chiamata
Luperci Iulii, in onore di se stesso).
In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi, mentre
da Augusto in poi la cosa fu ritenuta sconveniente e ne fecero parte solo
giovani appartenenti all'ordine equestre.
Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il giorno dei Lupercalia,
venivano iniziati due nuovi luperci (uno per i Luperci Fabiani e uno per
i Luperci Quinziali) nella grotta del Lupercale, con il rito sopra descritto
del sacrificio della capra e del cane.
Questa cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita
rituale, nel quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta
la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con
il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano la rinascita
alla nuova condizione sacerdotale.
DAI FAUNI A SAN VALENTINO
Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero
demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani,
si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti
e la coda.
Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani
per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto
per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della
fertilità.
Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che
secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati
«incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane.
Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili
agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati
di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri
dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali,
sebbene tali non fossero.
Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente,
da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della
Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica:
la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo,
ad essere perseguitata.
Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la
festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni
sessuali.
LA DEA LUPA
Ben prima che toccasse ai Fauni, la triste sorte accadde anche alla Dea
della natura selvaggia, la grande Madre o Dea Lupa.
La nascita dell'antica Roma corrisponde ad un tempo in cui il patriarcato
ha già avuto il sopravvento ed erano gli Dei maschi a dominare
lo scenario religioso.
In particolare Marte, dio guerriero e dominatore, suscita la maggior devozione
di questo popolo molto impegnato con le guerre di conquista e quindi dotato
di un potente esercito.
Per quanto riguarda le Dee, a parte le divinità greche importate
a roma con nome latino (Vesta, Minerva, Venere, Cerere), i popoli avevano
una particolare predilezione per la Dea Acca Larentia, una Dea
prostituta (guarda caso) e protettrice di Roma ma soprattutto della plebe.
I miti che la riguardano sono vari.
Per alcuni si trattava di una semplice donna che guadagnò il favore degli
Dei stando per una notte intera in adorazione nel tempio di Eracle. Appena
uscita dal tempio incontrò tal Caruzio, Taruzio o Taurilio, uomo ricchissimo,
che se ne innamorò e la sposò, lasciandola poi erede della sua immensa
fortuna. Alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio al popolo romano.
Tutto questo sarebbe accaduto al tempo di Anco Marzio. Il re, in segno
di ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una magnifica tomba sul
Velabro, il mitico luogo del rinvenimento dei gemelli, nei pressi della
porta Romanula.
Secondo Plinio e Gellio invece, Acca era la nutrice dei gemelli, ed ebbe
anche dodici figli maschi che diventeranno poi i fratelli Arvali, costituendo
il celebre collegio sacerdotale, adoratore di Dia, antichissima Dea.
Secondo un altro mito essa era una tipina un po' dissoluta, moglie del
pastore Faustolo (il nome probabilmente deriva dal Dio Faunus), che si
fece però carico dei fatali gemelli fondatori di Roma, per altri una prostituta
vera e propria che fece loro da balia.
In un altro mito essa era la famosa lupa che li allattò sulle rive del
Tevere.
Ma tutti questi miti sono solo la versione patriarcale di una storia
ben più antica:
Larentia era in origine la Grande madre, o Madre Natura, la prostituta
sacra che si accoppia con chiunque e produce di tutto, dalle piante agli
animali e agli uomini. E' in suo nome che si effettuava la prostituzione
sacra, la ierodulia, e le stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia,
la Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai viandanti. Non a
caso gli antichi postriboli erano detti "lupanare" (4).
Allo stesso modo in cui il Fauno fu gradualmente sostituito da un santo,
così anche la sua controparte femminile, potente e istintiva,
fu sostituita da divinità mano a mano sempre meno potenti, fino
ad arrivare alla totale castrazione della componente istintiva e sessuale.
Tutto questo mi ricorda il testo con cui si apre il celebra libro di Pinkola
Estès, dal significativo titolo "Donne che corrono con i lupi":
"Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi
sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato
a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli
e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna
Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre
notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente
a quattro zampe".
E S. VALENTINO?
Valentino era un vescovo di terni e suo patrono dal 1644, e come tale
professava la fede cristiana nell'epoca delle persecuzioni nel sacro romano
impero, pagano e politeista. Accadde che non solo convertì al cristianesimo
un filosofo romano di nome Cratone, ma commise anche l'errore di sposare
una coppia di giovani innamorati (tale fanciulla di nome Serapia con un
centurione romano non meglio identificato), andando contro l'editto di
claudio II, che aveva vietato ai suoi legionari il matrimonio con le fedeli
cristiane. Per questo il vescovo fu giustiziato e in seguito fatto santo
e commemorato, dal 496 d.c. nello stesso giorno in cui si teneva la festa
dei lupercali. La leggenda narra che poco prima di essere giustiziato,
Valentino fece un miracolo. Il 14 febbraio lasciò un bigliettino alla
figlia non vedente del suo carceriere asterio, di cui si era platonicamente
innamorato, su cui era scritto "dal tuo valentino". Ella lo lesse ritrovando
la vista e da ciò sembra derivare l'usanza di scambiarsi messaggini d'amore
nel giorno di san valentino.
Esistono alcune graziose leggende d'amore su San Valentino (5), ma la
cosa buffa è che la chiesa stessa soppresse questa festa dal 1969.
Ciò nonostante continua a comparire su alcuni calendari, fortemente
promossa non tanto dagli innamorati quanto dai mass media e dalla grande
industria del consumisto che nel nome dell'amore fa i suoi ricchi bottini.
Ricerca di
Manuela Caregnato
Inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it nel Gennaio 2011
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Note
(1) Nell'antica Roma Fauna venne identificata con varie Dee tra cui Bona
Dea, Cerere e Cibele. Nel suo tempio era proibito il mirto, perchè secondo
la leggenda suo marito l'avrebbe con un ramo di mirto fustigata per essersi
lasciata andare al vino. Si usava al suo posto il latte. Ma in realtà
ciò che era vietato veniva usato nei sacri misteri. Il vino era il sangue
della Madre Terra che poteva essere bevuto solo in condizioni di purezza
spirituale, cioè durante i sacri misteri, e il mirto era sacro alle Grandi
Madri, in particolare a Venere.
(2) In alcuni miti si dice un antico re del lazio, nipote di saturno o
di marte, figlio di Pico e Canente, o Pico e secondo l'Eneide padre del
re Latino. Secondo questo mito dopo la morte Fauno fu venerato come protettore
di raccolti e armenti con il nome i Inuus o Ianus la cui consorte era
Ianua da cui deriverebbero Giano e Giunone, ma aveva pure potestà
oracolari quale consorte di Fatua, con il nome Fatuus.
Secondo un mito latino era invece figlio di Giove e Circe.
Secondo dei miti romani, ripresi poi nell'Eneide da Virgilio, Fauno era
lo sposo di Marica, divinità delle acque e dei boschi, dalle quale ebbe
il futuro re Latino. Venerata in un bosco sacro, Marica fu in realtà un’immagine
o un aspetto della Signora degli Animali, l’antica Potnia, altri aspetti
della quale sono Fauna e Kirke. Sempre per Virgilio - Eneide - il re Latino:
"si rivolge agli oracoli di Fauno, il padre profetico, e consulta i divini
boschi sotto l’alta Albunea, massima tra le selve, che risuona dal sacro
fonte ed esala violenti vapori mefitici".
Secondo una tradizione riferita da Nonno di Panopoli nelle «Dionisiache»,
Fauno era figlio di Poseidone e di Kirke, e della madre, la quale amava
gli alti monti rocciosi e boscosi, e dimorava nelle ombrose sale di un
palazzo di roccia, aveva appreso le arti. Da lei aveva imparato a conoscere
i boschi solitari e i loro segreti. Altri lo identificavano con Agrio
(il «selvaggio»), e Fauno sarebbe allora figlio di Kirke e di Odisseo.
Secondo un’altra tradizione, invece, è figlio di Kirke e di Pico, primo
nume oracolare, trasformato in picchio dalla Dea stessa quando ha osato
rifiutarne l’amore. Come Kirke, vive nella foresta ed è Signore degli
Animali.
Sia come cornuto e caprino, sia come lupesco, sembra connesso al mondo
infero. Per altri ancora fu il terzo re preistorico dell'Italia, e avrebbe
introdotto nella penisola il culto delle divinità e l'agricoltura; dopo
la morte fu venerato come dio dei boschi, protettore di greggi e armenti.
Secondo altre fonti, i Fauni sarebbero stati antichi pastori, abitanti,
ai primordi del mondo, nel territorio sul quale verrà fondata Roma.
Nell'Eneide Fauno è il padre del giovane guerriero italico Tarquito ucciso
da Enea in combattimento. Tarquito era un semidio, figlio della ninfa
Driope. Secondo un’altra tradizione è fratello e marito di Fauna, Signora
degli Animali come Kirke e come Diana, nonché identificata con Bona Dea,
e soprannominata a sua volta Fatua. In un’altra versione, Bona Dea è sua
figlia, e lo respinge, quando lui la insidia. In seguito, però, egli riesce
a congiungersi con lei dopo essersi trasformato in serpente. Ma questi
sono miti elaborati successivamente, perchè nel mito più arcaico era figlio
e paredro della Dea Madre. Tutto ciò, inoltre, lo accosta a Pan, che ha
simili caratteristiche.
(3) Terenzio Varrone, De lingua latina
(4) Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche Mater Larum o "Madre
dei Lari", del resto in sanscrito Akka significa Madre, ma fu anche un
nome di Demetra, Acca Demetra, in qualità di nutrice.
Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di Roma, gli antenati
protettivi.
Acca Larenzia viene identificata con una divinità ctonia, custode del
mondo dei morti, Larenta, o Larunda, come era chiamata dai Sabini. Larenta,
o "Dea Muta" era una divinità femminile del sottosuolo e dell'oltretomba,
quindi il lato oscuro della Madre Natura, quello relativo alla morte.
(5) Le leggende d'amore su san Valentino
Leggenda dell’Amore Sublime
Questa leggenda narra di un giovane centurione romano di nome Sabino che,
passeggiando per una piazza di Terni, vide una bella ragazza di nome Serapia
e se ne innamorò follemente. Sabino chiese ai genitori di Serapia di poterla
sposare ma ricevette un secco rifiuto: Sabino era pagano mentre la famiglia
di Serapia era di religione cristiana. Per superare questo ostacolo, la
bella Serapia suggerì al suo amato di andare dal loro Vescovo Valentino
per avvicinarsi alla religione della sua famiglia e ricevere il battesimo,
cosa che lui fece in nome del suo amore. Purtroppo, proprio mentre si
preparavano i festeggiamenti per il battesimo di Sabino (e per le prossime
nozze), Serapia si ammalò di tisi. Valentino fu chiamato al capezzale
della ragazza oramai moribonda. Sabino supplicò Valentino affinché non
fosse separato dalla sua amata: la vita senza di lei sarebbe stata solo
una lunga sofferenza. Valentino battezzò il giovane, ed unì i due in matrimonio
e mentre levò le mani in alto per la benedizione, un sonno beatificante
avvolse quei due cuori per l’eternità.
Leggenda della Rosa della Riconciliazione
Un giorno San Valentino sentì passare, al di là del suo giardino, due
giovani fidanzati che stavano litigando. Decise di andare loro incontro
con in mano una magnifica rosa. Regalò la rosa ai due fidanzati e li pregò
di riconciliarsi stringendo insieme il gambo della rosa, facendo attenzione
a non pungersi e pregando affinché il Signore mantenesse vivo in eterno
il loro amore. Qualche tempo dopo la giovane coppia tornò da lui per invocare
la benedizione del loro matrimonio. La storia si diffuse e gli abitanti
iniziarono ad andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni il 14 di ogni
mese. Il 14 di ogni mese diventò così il giorno dedicato alle benedizioni,
ma la data è stata ristretta al solo mese di febbraio perché in quel giorno
del 273 San Valentino morì.
Leggenda dei Bambini
San Valentino possedeva un grande giardino pieno di magnifici fiori dove
permetteva a tutti i bambini di giocare. Si affacciava sovente dalla sua
finestra per sorvegliarli e per rallegrarsi nel vederli giocare. Quando
venive sera, scendeva in giardino e tutti i bambini lo circondavano con
affetto ed allegria. Dopo aver dato loro la benedizione regalava a ciascuno
di loro un fiore raccomandando di portarlo alle loro mamme: in questo
modo otteneva la certezza che sarebbero tornati a casa presto e che avrebbero
alimentato il rispetto e l’amore nei confronti dei genitori. Da questa
leggenda deriva l’usanza di donare dei piccoli regali alle persone a cui
vogliamo bene. Leggenda dei Colombini Il sacerdote Valentino possedeva
un grande giardino che nelle ore libere dall’apostolato coltivava con
le proprie mani. Tutti i giorni permetteva ai bambini di giocare nel suo
giardino, raccomandando che non avessero fatto danni, perché poi la sera
avrebbe egli regalato a ciascuno un fiore da portare a casa. Un giorno,
però, vennero dei soldati e imprigionarono Valentino perchè il re lo aveva
condannato al carcere a vita. I bambini piansero tanto. Valentino, stando
in carcere pensava a loro, e al fatto che non avrebbero più avuto un luogo
sicuro dove giocare. Ci pensò il Signore. Fece fuggire dalla gabbia del
distratto custode due dei piccioni viaggiatori che Valentino teneva in
giardino. Questi piccioni, guidati da un misterioso istinto, trovarono
il carcere dove stava chiuso il loro santo padrone. Si posarono sulle
sbarre della sua finestra e presero a tubare fortemente. Valentino li
riconobbe, li prese e li accarezzò. Poi legò al collo di uno un sacchetto
fatto a cuoricino con dentro un biglietto, ed al collo dell’altro legò
una chiavetta. Quando i due piccioni fecero ritorno furono accolti con
grande gioia. Le persone si accorsero di quello che portavano e riconobbero
subito la chiavetta: era quella del giardino di Valentino. I bambini ed
i loro familiari si trovavano fuori del giardino quando il custode lesse
il contenuto del bigliettino. C’era scritto: “A tutti i bambini che amo,
dal vostro Valentino”.
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Fonti:
wikipedia
www.sacroromanoimpero.com
il "Dizionario di mitologia classica"
immagini tratte dalla rete
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