La Grande Dea
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La Grande Dea Madre nel Paleolitico
Sul culto della Grande Dea Madre nel paleolitico e nel neolitico ha fatto scuola il lavoro della Gimbutas, che trovate presentato nella pagina del sito dedicata a questo tema. Dopo un periodo di scetticismo, attualmente la maggior parte degli studiosi concorda con lei nell'attribuire alle statuine dette 'veneri' dai primi archeologi che le scoprirono e trovate nei siti paleolitici il ruolo di rappresentazioni della Dea nel suo aspetto di fonte di vita e immagine di fertilità. Elemento decisivo per tale attribuzione sono, fra gli altri, le tracce di color ocra-rosso che le riconducono chiaramente ad un uso rituale magico-religioso.

In questa pagina, diamo alcune brevi notizie sulle loro caratteristiche archeologiche e stilistiche.


Nella figura sottostante, una piantina con i ritrovamenti di alcune delle più importanti Dee Madri (le cosidette Veneri) del paleolitico. Cliccando su ciascuna di esse si aprirà una pagina con l'immagine ingrandita e una breve scheda con alcune notizie. Se navighi da cellulare, fai scorrer l'immagine per vederne le diverse parti.

Venere di Willendorf

Attualmente abbiamo circa 650 figure femminili trovate nell'area mediterraneo-europa-russia, di cui circa 200 sono statuette a tutto tondo.
Presso gli studiosi, queste grandi dee vengono classificate come prodotti della cultura Thieulleniana, ed hanno antecedenti datati le prima fasi di tale cultura, dal 400.000 a.C. in poi.
Le Veneri che qui sono prese in considerazione, sono tutte appartenenti al paleolitico superiore, e alla terza fase della civiltà thieulleniana, cioè dal 30.000 a.C. all'11.000 a.C. Appartengono principalmente a due epoche: il Gravettiano (più antico) e il Maddaleniano (più recente).

Iconografia
Dal punto di vista iconografico, caratteristiche comuni alle veneri gravettiane sono le dimensioni ridotte (intorno ai 10-20 cm), l'abbondanza delle forme (ventre, seni, coscie e natiche) e la forma allungata delle gambe, con assenza di piedi, probabilmente per l'uso nomade di infilarle nel terreno o in un supporto. Nella maggior parte dei casi il volto non è rafffigurato con precisione (salvo ecccezioni, come la venere di Brassenpouy), mentre sono spesso incisi con precisione capigliatura e copricapi (ad es. nella venere di Willendorf, o in quella di Kostineki). Alcune vestono un copricapo a punta o presentano il capo allungato in forma fallica (Venere di Savignano e di Parabita). Un gruppo di Veneri è caratterizzato dal capo inclinato (come nella venere di Lespugue). La maggior parte presenta gioielli: cinture, bracciali, reggiseni e talvolta tracce di capi di abbigliamento, generalmente in tessuto, che venivano 'aggiunti' alle figurine scolpite (ad es nelle veneri di Kostienki 1 e 2).
Ci sono anche rari casi di raffigurazioni di dee del parto (es venere di Sireuil)

André Leroi-Gourhan ne ha notato un costante strutturale, che ha individuato nella relazione fra una forma a losanga, un cerchio e due assi di simmetria, come si può vedere dalla figura.




Caratteristica comune è anche, salvo eccezioni, il fatto che la zona centrale del corpo, con il pube, natiche e seni, è generalmente scolpita con cura e attenzione,e si presentano ipertrofiche, mentre le gambe e la testa, salvo eccezioni, lo sono molto meno, tanto che in genere il volto non è scolpito e spesso è una semplice forma rotonda o allungata.
E' evidente dunque la distanza dalla semplice riproduzione della realtà (le figure coeve di animali sono in genere altamente fedeli alla realtà nei rapporti geometrici e nei particolari anatomici), aspetto che costituisce uno degli elementi a favore della natura simbolico-religiosa dei manufatti.
L'enfasi su una parte, come ha sottolineato la Gimbutas, accresce il potere di quella particolare parte e delle sue funzioni. Così i seni parlano del potere nutritivo della Dea, la vulva di quello generativo, natiche e baricentro basso ancora del Suo potere vivificante.

Da notare che, dopo un'assenza di qualche millennio, le statuette dei ritrovamenti datate nel maddaleniano hanno in genere una forma più schematica e astratta e una minore accentuazione delle caratteristiche ''fertili' (appartengono forse alla categoria di dee della morte individuata dalla Gimbutas)


Ritualità
Per quello che concerne l'uso, invece, i contesti in cui le statuine sono state ritrovate non permettono conclusioni definitive, anche se depongono a favore dell'uso rituale.

La maggior parte dei ritrovamenti proviene da accampamenti, il che ha fatto nascere, da Bachofen in poi, l'idea che la donna potesse avere all'epoca una posizione preminente da un punto di vista sociale: il matriarcato.

Molto spesso esse provengono da zone ai confini dell'abitato, lungo i suoi perimetri, talvolta vicino o in costruzioni cui è stato dato il nome di 'capanna dello sciamano'.
Per quelle provenienti dai siti di Kostienki, Gagarino e Adveevo, sono stati trovati dei pozzetti interrati, nella zona delle costruzioni seminterrate cui è stata attribuita la funzione di luoghi sacri, e molte di esse erano spezzate. Insieme alle statuette vi erano molte placchette con le classiche incisioni simboliche a figura di vulva, statuettte di mammuth o teste di leone. In molti casi erano coperte di ocra rossa. Chiudeva spesso il pozzetto una scapola di mammuth. Questa collocazione sembra riferirsi ad un uso rituale delle figure, al termine del quale essse vennivano sepolte.

Nel caso della venere di Laussel, la collocazione e i segni di ocra rossa sulla figura farebbero pensare che ai suoi piedi o dalla figura stessa scorresse dell'acqua considerata fonte di vita, e che facesse parte di un complesso templare all'ingresso del grande riparo di Laussel, come ha fato notare Luisella Veroli.

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Testo e ricerca di Anna Pirera per www.ilcerchiodellaluna.it, gennaio 2008

Immagini tratte ed elaborate da: Dea Madre, Electa ed: 2007

Testi:
Luisella Veroli "prima di Eva"
Luciana Percovich " Oscure madri splendenti" ed Venexia 2007
Le "veneri" paleolitiche e l'alba dell'anima di G. Ligabue e G: Rossi-Osmida in :Dea Madre, Electa ed: 2007

Varie fonti online fra cui:
le dispense di Arte Paleolitica del prof. De Marinis per l'Università di Milano
e le schede del museo dell'Uomo di Genova.





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