La colomba di Afrodite
La dea si manifestava nel suo santuario di Erice, in Sicilia, nelle sembianze di una rosea colomba alla Festa del Ritorno che seguiva quella della Buona Traversata. "Ed ecco" spiegava Eliano "il motivo del nome: i siciliani dicono che in questi giorni la dea Afrodite parte per la Libia e confermano la loro credenza con questa prova: nel loro paese c'è una grande quantità di colombe, che però non si vedono durante il tempo di questa cerimonia perché sono andate a fare da scorta ad Afrodite. I piccioni, essi dicono, sono i beniamini della dea e tutti gli abitanti di Erice prestano fede a questa tradizione. Nel nono giorno dopo la festa è possibile vedere un uccello di straordinaria bellezza giungere in volo dalla parte del mare che bagna la Libia: non è come gli altri colombi che si raggruppano in stormi, ma è di un colore rosa, come quello che Anacreonte di Teo esalta in un suo verso dove, descrivendo Afrodite, la definisce "rosea". Quell'uccello potrebbe essere paragonato all'oro poiché anch'esso è simile alla suddetta dea che Omero nei suoi versi chiama "aurea". Questa colomba precede l'arrivo in massa di tutte le altre, avvenimento che è celebrato dagli abitanti di Erice con una nuova festa la quale, prendendo nome dall'evento, viene chiamata "Festa del Ritorno". (Claudio Eliano, op.cit. IV, 2; Anacreonte di Teo, Anacreontiche, 10,2,3; Omero, Iliade, V, 427). Afrodite era benigna e misecordiosa verso gli
uomini come dea dell'amore, principio universale di attrazione e di associazione
che conduceva all'Uno. Per questo motivo era adorna d'oro, come canta
Omero narrando la sua nascita dalle acque del mare: lietamente l'accolsero vestendola con abiti divini, sull'immortale capo posero una levigata corona, bella, aurea, e ai traforati lobi fiori di oricalco e d'oro prezioso; intorno al delicato collo e al petto fulgente di monili aurei l'adornarono dei quali anche'esse, le Ore dall'aureo diadema, si adornano per recarsi all'amabile danza degli dei e al cospetto del padre divino. (Ad Afrodite, in Inni omerici, VI, 1-13) una coppia di colombe proprio davanti al suo sguardo sopraggiunsero volando e si posarono sul verde suolo. Allora il magnanimo eroe riconosce gli uccelli materni e lieto prega: "Guidatemi, se c'è una via, e dirigete per l'aria il volo nei boschi, là dove il ramo d'oro ombreggia la pingue terra. E tu non mancarmi nelle difficoltà, o dea madre". (idem, VI, 190-97) E le colombe inviate da Venere gli indicarono
il luogo dove il ramo splendeva. Era considerata da Greci e Romani anche l'emblema dell'armonia cosmica, della pace, della purezza dei costumi, della semplicità e della fedeltà coniugale. (Sull'iconografia della colomba in Roma, cfr. A. Cattabiani - Marina Cepeda Fuentes, Bestiario di Roma, Roma 1986, p.116) "I colombi selvatici" ricordava Eliano
"sono oggetto di entusiastiche lodi perché fra tutti gli uccelli
sono di gran lunga i più giudiziosi. Ad esempio, quando il maschio
e la femmina decidono di unirsi e di stringere di muto accordo un rapporto
che potremmo definire matrimoniale, stabiliscono fra di loro un saldo
legame comportandosi così assennatamente che nessuno dei due toccherebbe
mai un letto estraneo. Se volgessero sguardi lussuriosi verso altri colombi,
i loro compagni li circonderebbero, e se il colpevole fosse un maschio,
sarebbe fatto a pezzi dai maschi, se una femmina dalle femmine".
(Claudio Eliano, op.cit., III, 44). In seguito Venere e le sue colombe furono prevalentemente
degradate a simbolo di lascivia, come testimonia fra gli altri l'iconologo
Vincenzo Cartari spiegando che il carro della dea era tirato da candidissime
colombe "perché questi uccelli più di alcun altro paiono
essere conformi a lei, imperoché sono molto lascivi, né
è tempo alcuno dell'anno nel quale non istiano insieme; e dicesi
che non monta mai il colombo la colomba che non la basci prima, come apunto
fanno gl'innamorati". (V. Cartari, Le imagini dei i dei de gli antichi,
Vicenza 1996, p. 467). con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere, dal voler portate ..... (Dante, Divina Commedia, Inferno, V,
82-84)
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