Simboli, Archetipi ed Energie
Comprendere e usare le energie archetipiche


Il MONDO DEI GENII
Articolo quasi interamente tratto da: SacroRomanoImpero

Vagamente corrispondenti al concetto di daimon greco, una creatura intertmediaria fra gli Dei e gli uomini. Nella religione orfica il Dèmone è l'essenza dell'anima, imprigionata nel corpo per una colpa compiuta e da cui cerca di liberarsi, molto simile a certe filosofie buddiste. Per Socrate il dàimon è lo spirito-guida che lo assiste spesso nelle sue decisioni. Anche i Romani credevano in questo genio personale, e pure gli Etruschi, per cui il Genio è femminile e alato, la Lasa, che accompagna il defunto poi nel mondo dei morti.
L'etimologia del nome Genius è da ricondurre a 'gen-' generare, ma non è ben chiaro se sia da intendere in senso attivo o passivo; qualcuno propone che possa derivare dalle religioni pre-islamiche, dove sono presenti i Jinn, nome con forte assonanza fonetica, ma questi, benché somiglianti ai benevoli Genii nella funzione di intermediari tra l'uomo e le divinità, sono invece entità maligne nate all'inizio dei tempi.



Per i Romani i Genii erano ovunque, per cui ovunque potevano pregarli o ingraziarli attraverso offerte. Il loro culto non era statale, ma questo non significa che fosse meno seguito. Era infatti un culto soprattutto pagano, cioè del pagus, del villaggio. Gli antichi Geni erano alati, come immagine animica e non corporea, ma anche di possibilità di elevarsi aldisopra delle passioni umane, un'immagine di saggezza che venne poi trasmesso a divinità maggiori, come Eros o Nike, spiriti dotati di ali. Non a caso Mercurio ha le ali ai piedi, proprio perchè messaggero tra Dei e uomini, fra cielo e terra.

Eros, nel Simposio di Platone, viene infatti considerato un Demone intermediario tra gli uomini e gli Dèi. E' il primo nato tra gli Dei, un Dio primordiale raffigurato con le ali per la sua capacità di elevarsi dal mondo terreno alla sfera celeste.
"Eros è un gran Dèmone, o Socrate: infatti tutto ciò che è demonico è intermedio fra Dio e mortale. Ha il potere di interpretare e di portare agli Dèi le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli Dèi: degli uomini le preghiere e i sacrifici, degli Dèi, invece, i comandi e le ricompense dei sacrifici. E stando in mezzo fra gli uni e gli altri, opera un completamento, in modo che il tutto sia ben collegato con sé medesimo."

Dunque i Geni stavano ovunque, nella casa, dando luogo ai Lari, nei luoghi, dando origine ai Genius Loci , nelle persone, con cui si stabiliva il Genius personale nel giorno non del concepimento ma della nascita, il Dies Natalis era il giorno in cui il Genio iniziava l'accompagnamento dell'essere mortale.

 

GENIUS LOCI

Secondo Servio "nullus locus sine Genio" (nessun luogo è senza un Genio) (Commento all'Eneide). il Genius Loci non va confuso con il Lare perché questi è il Genio del luogo posseduto dall'uomo o che l'uomo attraversa (come i Lari Compitali e i Lari Permarini), mentre il Genius loci è il Genio del luogo abitato e frequentato dall'uomo. Inoltre quando si invoca il Genius loci bisogna precisare "sive mas sive foemina" (che sia maschio o che sia femmina) perché non se ne conosce il genere.

La parola Genius deriva come detto dal latino gignere che significa “generare, creare”, ed era utilizzata per identificare il nume che costituiva una forza creatrice generica eppure suddivisa in tante forme generandi. Al Genius venivano offerti fiori, piante odorose, incensi, profumi, vino e focacce.

La derivazione è dalla religione animistica per cui tutto è permeato da un'energia e da un'intelligenza, compresi i luoghi, o gli animali (da cui i totem), ma anche l'uomo, il tutto nel generale e nel particolare. Ovunque si percepiva la presenza di un’entità superiore che custodiva e proteggeva. Quindi accanto ai Genii dei singoli, ci sono i genii delle singole famiglie, Genius familiaris, da cui, in modo più esteso, la Gens, o delle comunità, come il Genius Populi Romani.

Il Genius Loci era, dunque, la divinità protettrice di un luogo ma allo stesso tempo poteva proteggere tutti quelli che vi abitavano o vi transitavano. Ogni luogo aveva un suo Genius, che poteva aiutare o essere ostile, a seconda dell'atteggiamento dell'individuo verso il luogo. Devastare un luogo, o appropiarsi delle sue risorse in modo indiscriminato poteva inimicare il Genius Loci, come pregarlo, rispettarlo e fargli offerte poteva renderlo propizio.


genius loci   genius loci   genius loci   genius loci


Il Genius Loci veniva colto soprattutto dove il luogo era notevole per il bel panorama o per singolarità del paesaggio, per ricordi mitologici, storici, o ne era difficile per il transito, ai confini di un paese esposto ai pericoli di vicini inospitali, oppure assumeva una speciale importanza, più o meno duratura, se vi si soggiornava più o meno a lungo. Allora l’essenza divina, la divinità che il Romano nel suo panteismo sentiva ovunque presente, si impersonava nel Genius Loci, che in luogo aveva il suo culto.
Ovunque vi fosse un uomo pius, cioè credente e rispettoso delle divinità, lì accorreva lo protettore del luogo, il Genius Loci invocato e omaggiato, che riempiva di sacralità il luogo stesso.

Papa Alessandro (Epistola IV 1731) "Ogni luogo ha le sue qualità uniche, non solo in termini di composizione fisica, ma di come viene percepita, quindi dovrebbe essere (ma troppo spesso non è) responsabilità dell'architetto essere sensibile a quelle qualità uniche, per migliorarle piuttosto che distruggerle. In architettura e in giardinaggio, tutto deve essere adattato al genio del luogo."

 

LE FORME DEI GENII

Poteva apparire in diverse forme, umano o animale. Come serpente il genius loci può essere paragonato al greco agathòs daimon, genio benevolo. A Pompei troviamo poi una pittura, all’interno del lararium dell’atrio servile della Casa del Centenario, dove sotto l’immagine di Bacco rivestito di acini d’uva, dietro cui si erge il Vesuvio, è raffigurato il serpente agathodaimon che si avvicina ad un altare.

   


Come riferisce Persio, autore latino del I sec.d.c. “Dipingere serpenti sulle pareti
serviva a proteggerle dal sudiciume, come ad indicare che esse erano sotto la tutela del nume”.

Il Genius Loci sotto forma di serpente appare anche in alcune pitture parietali di Ercolano, come serpente che si avvolge attorno ad un altare per divorare l’offerta posta sopra.

Nel libro V dell'Eneide, quando Enea si accinge a fare offerte sulla tomba del padre Anchise “dai profondi recessi un viscido grande serpente trasse sette cerchi, sette volute, aggirando quietamente il tumulo, strisciando tra le are. Quello con lungo snodarsi tra i calici e le terse coppe libò le vivande, e innocuo discese di nuovo nel profondo del tumulo e lasciò i degustati altari. Perciò maggiormente rinnova le intraprese onoranze al genitore, incerto se pensare che sia il genio del luogo, o un ministro del padre”.
In luoghi particolari poteva esser rappresentato sotto sembianze umane, come il genius del Monte Celio, a Roma, raffigurato come un uomo barbuto seduto su un monte con a fianco una pianta di alloro, con inscritto il nome Genius Coelimontis.

Oppure appare come pavone che fa la ruota, che diventa poi attributo di Giunone, o come cervo, attributo di Diana, riciclato poi dal cattolicesimo alla visione di Sant'Eustachio, o di civetta, o di colomba.

Attestazioni del Genius loci
attestazione generica di un genius loci (CIL, VI, 247; 30884; 30885)
Genius horreorum (CIL, VI, 235; 236; 237; 238)
Genius loci et stationis (CIL, VI, 36779)
Genius venalici (CIL, VI, 399)
Genius stationis aquarum (CIL, VI, 36781)
Genius Caeli Montis (CIL, VI, 334)
Genius fori vinarii (Ostia: CIL, X, 543)
Genius curiae (CIL, VI, 5996)
Genius decuriae (CIL, VI, 244)
Genius familiae monetalis (CIL, VI, 239
Genius pagi livi (CIL, V, 4909)
Genius pagi Arusnatium (CIL, V, 3915)
Genius colonae aquiliae (AE, 1934, 234)
Genius coloniae Florentiae (CIL, XI, 7030)
Genius coloniae Ostiensis (CIL, XIV, 9; G. c. Ostiensium CIL, XIV, 8)
Genius corporis pellionum Ostiensium (CIL, XIV, 10)
Genius corporis splendidissimi inportantium et negotiantium vinariorum (AE, 1955, 165)
Genius municipi cultorum (AE, 1965, 193)
Genius municipi Segusini (CIL, V, 7234; 7235)
Genius municipi Castrimoeniensis (CIL, XIV, 2454)
Genius municipi Praenestini (CIL, XIV, 2889)

Spesso il genio viene rappresentato fornito di cornucopia, di patera, di tralci di alloro, o di serpente. Ci sono molti altari romani nell'Europa occidentale dedicati al Genius Loci, come appare nella chiesa di S. Giles, a Tockenham, nel Wiltshire, dove è raffigurato a rilievo nel muro di una chiesa normanna costruita con reperti romani.

 

I GENII LAVORATORI

Il mondo romano è pieno di geni lavoratori e inventori, un po' come la favola del ciabattino cui gli gnomi cuciono le scarpe durante la notte. Insomma i genii possono aiutare l'uomo, ma sono anche ludici e hanno una vita autonoma. 

Ed ecco allora i geni profumieri, simili ad amorini, maschi e femmine, i maschi con ali di piume e le femmine con ali di farfalla. Ci sono poi i geni che battono moneta, i geni coniatori che sono, come tutti i geni, ispiratori, inventori ed esecutaori in un invisibile mondo che in qualche modo influenza quello dei mortali. Compaiono anche i geni orefici, che pesano, fondono, usano i vari strumenti di cesello e battitura, o quelli della vendemmia e del vino.

Ma ci sono amorini, ovvero genii prettamente ludici, che cavalcano un delfino, o si fanno trainare da un granchio, o da cigni, o da animali selvatici, che cavalcano o di cui hanno le redini. Questa visione della natura animata e ludica era una visione sacra che si è potentemente modificata col cristianesimo dove la natura è inanimata e al servizio dell'uomo come un balocco che l'essere umano può usare a suo piacimento in quanto autorizzato dalla divinità.

 

GENIUS PERSONALE

Il Genius Natalis, o Genio personale, era una figura centrale nella religione romana; a lui veniva consacrato il dies natalis , il giorno di nascita dell’uomo, e allo stesso tempo accompagnava l’uomo nel percorso di vita fino alla morte.



Marco Aurelio indica come Demone l'anima intellettiva che va curata e placata dai turbamenti emotivi, con chiara allusione al Genio interiore.
(Marco Aurelio - Colloqui con se stesso)

Platone, nell'Apologia di Socrate scrive: "C'è dentro di me non so che spirito divino e demoniaco; quello appunto di cui anche Meleto, scherzandoci sopra, scrisse nell'atto di accusa. Ed è come una voce che io ho dentro sin da fanciullo; la quale, ogni volta che mi si fa sentire, sempre mi dissuade da qualcosa che sto per compiere, e non mi fa mai proposte."

Il Genius parla dunque quando la mente tace, infatti noi percepiamo una certa voce di saggezza quando siamo liberi dall'ansia che ci induce a pensare continuamente. L'ascolto del Genius presuppone dunque un silenzio interiore. Ma il Genius romano agisce più facilmente dall'esterno che dall'interno, essendo i Romani più proiettati all'esterno dei Greci, ma anche meno elucubrativi di questi. I Geni romani sono eminentemente operativi. La religione cattolica ne ha poi ricavato gli Angeli Custodi, molto simili ai Geni romani, con la stessa funzione protettiva, ma con una funzione moralistica che i Geni romani non avevano.

Per Plutarco - Iside e Osiride: " Platone, Pitagora, Senocrate, Crisippo, seguaci dei primitivi scrittori di cose sacre, affermano che i Demoni sono dotati di forza sovrumana, anzi sorpassano di molto per estensione di potenza la nostra natura, ma non posseggono, per altro, l'elemento divino puro e incontaminato, bensì partecipe, a un tempo, di una duplice sorte, in quanto ad una natura spirituale e sensazione corporea, onde accoglie piacere e travaglio; e tale elemento misto è appunto la sorgente del turbamento, maggiore in alcuni, minore in altri. Così è che anche tra i Demoni, né più né meno che tra gli uomini, sorgono differenze nella gradazione del bene e del male."

Plutarco individua qui il Demone, o Genio, una qualità duplice o mista, in quanto contaminato dalla corporeità dell'essere umano, concetto assorbito dalla religione cattolica che considererà la materia come impura e pertanto incapace di percepire il senso divino se non attraverso una santità che nega e mortifica il lato corporeo.

Il Genio Romano è invece aldilà delle passioni ma non nega il corpo, anzi lo protegge e lo invita al godimento con la saggezza della moderazione. Il principio di saggezza romano è la Continenza, il godere di tutto rifuggendo dagli estremismi dell'esaltazione.

I LARI

I Lari, dal latino lar, focolare, erano Genii protettori degli antenati defunti che vegliavano sulla famiglia, cioè sulle persone, schiavi compresi, sulla proprietà o sulle attività di questa affinchè la famiglia fosse sana e prospera.

I più diffusi erano i Lares familiares, che rappresentavano gli antenati, raffigurati da statuette di terracotta, di mermo, di pietra, di legno, di cera o di gesso, chiamata sigillum (da signum, immagine). All'interno della domus, tali statuette venivano collocate nella nicchia di un'apposita edicola detta larario, cui il pater familias dedicava ogni giorno una preghioera e un'offerta, talvolta con offerte di profumi o accensione di una piccola fiamma.
Servio scrisse che il culto dei Lari era stato indotto dall'antica tradizione di seppellire in casa i morti, usanza che mirava a trattenere il loro spirito nel'ambito familiare. Plauto narra che i Lari venivano rappresentati anticamente come cani e le loro immagini venivano conservate nei pressi della porta di casa, il che ne evidenzia il ruolo di guardiani della casa. Ma l'iconografia più diffusa è di giovinetti che indossano una corta tunica ed alti calzari, mentre versano del vino dal rhyton in coppe.
Nella festa del Natalis dell'antica Roma del 20 dicembre, si svolgevano i Sigillaria, durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l'anno. Figure di marzapane della stessa immagine venivano regalati ai bambini.
I Lari ebbero anche un culto pubblico: esistevano i Lari dello Stato e i Lari Compitales (Lari degli incroci).

 

LARI COMPITALI

I Lares Compitales, dal latino compitum ovvero "bivio" o "crocicchio", erano i Genii protettori degli incroci, o crocicchi, ai quali venivano elevati i sacella compitalia, edicole con timpano frontale e volta a botte con nicchie nelle pareti interne per contenere le immagini dei Genii. Ad essi venivano dedicati i Ludi Compitalicii , nella festa Compitalia, che si ritiene un retaggio preromano.
I Compitalia (2-5 gennaio), si svolgevano accanto ai sacelli in onore dei Lari Compitali, antenati delle famiglie che abitavano presso il compitum e divinità protettrici dei campi; durante i ludi si portavano in processione le statuette dei Lari e si compivano sacrifici e libagioni da parte dei vicomagistri (magistrati che sovrintendevano ai quartieri urbani).

Alcuni autori la dicono istituita da Tarquinio Prisco per un miracolo avvenuto alla nascita di Servio Tullio, che lo fece passare per il figlio di un Lare Familiaris, o di una divinità alla guardia della famiglia.

Dionigi di Alicarnasso l'attribuisce invece a Servio Tullio, specificando che i sacrifici consistevano in dolci di miele offerti in ogni casa e il rito era officiato dagli schiavi. La festa veniva celebrata pochi giorni dopo i Saturnali e gli schiavi in questa occasione erano liberi da qualunque impegno verso i loro padroni, il che spiegherebbe la ragione del loro officio, cioè dare una tregua agli schiavi.

Durante la festività ogni famiglia appendeva al portone di casa una statuetta della Dea Mania (dea della morte e della follia), la Dea dei Mani, insieme ad altre figure fabbricate con la lana di uomini e donne, accompagnante da richieste e protezioni ai Lari. Per gli schiavi anziché figure di uomini, si appendevano sfere o i panni morbidi di lana.

Per Ambrogio Teodosio Macrobio le celebrazioni deriverebbero da Tarquinio il Superbo, in seguito ad un oracolo che gli avrebbe chiesto in cambio di pace e prosperità una testa per salvare una testa. Tarquinio avrebbe allora ordinato un sacrificio cruento di bambini a Mania madre dei Lari. Ma Lucio Giunio Bruto, dopo l'espulsione dei Tarquini, sostituì le teste di bambino con quelle di aglio e dei papaveri, soddisfacendo l'oracolo che aveva richiesto soltanto delle teste. Ma Ambrogio era un autore del V sec. d.c., o cristiano o influenzato dal cristianesimo circostante. I Romani non facevano sacrifici umani, e tantomeno di bambini che erano sacri.
Durante le guerre civili la festività cadde in disuso e venne ristabilita dall'imperatore Augusto che inserì nel vecchio culto dei Lari il Lare dell'imperatore come divinità protettrice di tutto il popolo. Quinto Orazio Flacco scrive che Augusto fece porre i Lari o i Penati dove due o più strade si incrociavano, inoltre fece istituire un ordine di presbiteri per assistere il culto; questi uomini venivano scelti fra i liberti e vennero denominati Augustales.
La festa delle compitalia faceva parte delle feriae conceptivae (feste mobili), cioè alle festività ufficiali che venivano indicate annualmente dai magistrati o dai priori con la dicitura “Die noni popolo romano quiritibus compitalia erunt".

 

PENATI

Erano i Genii Protettori di una famiglia e della sua casa (Penati familiari o minori), ed anche dello Stato (Penati pubblici o maggiori). Il nome deriva dal Penus, "tutto ciò di cui gli uomini si nutrono", e risiedevano nel penitus, la parte più interna della casa, dove si teneva il cibo. Ogni famiglia aveva i propri Penati, trasmessi in eredità insieme ai beni patrimoniali. Il sacrificio ai Penati poteva avere cadenza quotidiana o occasionale.
I consoli, nell'assumere o nel rimettere la propria carica, erano obbligati a celebrare un sacrificio a Lavinium in onore dei Penati pubblici. Il culto dei Penati pubblici era connesso a quello di Vesta. I magistrati della città prestavano giuramento ai Penati pubblici.
I Penati della famiglia di Enea, identificati come Penati di Roma, avevano un tempio sul Palatino, dove venivano rappresentati come due giovani seduti.



ARTICOLO INTERAMENTE TRATTO DA WWW.SACROROMANOIMPERO.IT

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