Della magia degli oggetti
di Gabriel
Da più parti si assiste a quella che io definisco una sorta di
interiorizzazione della pratica magica. Rituali, parole di
potere, strumenti, erbe, incensi, pietre, gesti
tutto questo in fondo,
si dice, non serve davvero. Ciò che conta è la nostra
volontà, la nostra coscienza, consapevolezza.
Specchio di questa tendenza è un certo relativismo selvaggio: ognuno
ha la sua verità, ognuno vede le cose a modo suo*.
Una piccola scorsa alla storia della magia, pone qualche dubbio sulla
validità di questo atteggiamento.
Qualunque forma di magia adottata nel passato (e in molti presenti
altri geograficamente rispetto al mondo occidentale) trovava (e trova)
il suo valore e il suo potere in certi oggetti, luoghi, parole
insomma in tutto quel complesso di elementi materiali/corporei/sensibili
che, giusto per trovare un termine riassuntivo, potremmo definire componenti.
Gli sciamani, ad esempio, non erano dei relativisti visionari, ma degli
esperti delle proprietà (arcane e non) di specifiche specie
vegetali proprie del loro territorio, dei minerali che la loro terra nascondeva,
delle parti di certi animali la cui vita era legata alla tribù.
Altro esempio: i rituali religiosi di tutte le civiltà pagane (classiche
e non) erano decisamente precisi, ricchi di componenti ossia di
invocazioni, processioni, vestimenti, offerte determinate.
E un passo avanti la soggettivizzazione della magia? Io non credo.
Nel Rinascimento si pensava, sotto linflusso del tardo Neoplatonismo
e dellErmetismo, che fare magia volesse dire entrare in comunicazione
con lAnima d †el Mondo: lo spirito che tiene insieme tutto,
in una simpatia (in senso occulto) e amore (in senso naturalistico, non
sentimentale) universali.
Ora, furono di certo conquiste la scoperta dellIo, dellinteriorità
e la parallela scoperta che per fare magia sono essenziali volontà,
immaginazione e credenze.
Però mi pare che oggi si accentui troppo questa direzione, cadendo
nellerrore opposto: dimenticarsi il Corpo del Mondo
concentrarsi solo sulla sua Anima, che troviamo riflessa nella nostra
anima, dimenticandoci del suo Corpo, i cui ritmi sono intrecciati a quelli
del nostro corpo, a livelli così profondi che raramente ne siamo
consapevoli.
Si fa un gran parlare di immanenza, ma dire che non esistono cose magiche
di per sé, vuol dire in fondo negare questimmanenza, e limitarla
solo alla nostra interiorità: come dire che gli Dei sono sì
in noi, ma non fuori da noi.
Se non riconosciamo che alcune cose sono magiche di per sé
- dove di per sé vuol dire: indipendentemente dalla
nostra soggettività, dal nostro io, dal nostro arbitrio - la visione
che emerge è questa: un soggetto che proietta significati su un
mondo di oggetti privo di per sé di senso; non esistono oggetti
magici, è solo questione di punti vista; non esistono erbe (o pietre,
o colori) che vanno bene per lamore piuttosto che per il lavoro,
dipende da cosa uno pensa, crede o vuole fare in una specifica occasione.
Lerrore secondo me è questo: pensare che i simboli
siano un affare di segni.
Segno vuol dire: prendo un oggetto o unimmagine sensibile
e dico che sta per qualcosaltro, per uno specifico significato.
Segni sono ad esempio i cartelli stradali o i segni matematici. Non cè
alcuni motivo per cui si doveva scegliere quella sp †ecifica immagine
per rappresentare un certo concetto o se cè è un legame
molto tenue. Non cè alcun motivo specifico per cui un triangolo
debba rappresentare il segno di dare la precedenza o una linea
orizzontale significare in matematica meno.
La realtà dei simboli autentici è invece ben diversa:
sono oggettivi, ci si impongono, li troviamo e non possiamo fare a meno
di vederci un certo significato in un determinato simbolo. La ruota, il
fulmine, la croce, il serpente, lalbero ci parlano già dei
significati che vogliono per loro.
Rimane comunque un ampio spazio aperto per linterpretazione, in
quanto non esistono significati univoci (ricadremmo nel segno): il serpente
ad esempio può essere un simbolo della morte e del male, per il
suo essere legato alla terra e velenoso; oppure di rinascita e dellanima,
per la muta della pelle.
Ma il fatto che molti significati (leggi: poteri, virtù,
corrispondenze) possano essere attribuiti ad un componente non vuol dire
che ogni significato possa essergli dato. Questa è quella
che io chiamo oggettività del simbolo: che è il simbolo
stesso, nella sua consistenza fisica, nella forma, del colore, nel movimento
a fornirci già uninterpretazione. Ed è chiaro che
questi significati ci vengono offerti in parte perché abbiamo una
certa storia culturale, come umanità, alle spalle.
La natura è il tipico esempio di come non ci sia molto di
soggettivo nei simoli. E un punto di riferimento al di sotto delle
nostre parole, dei vani discorsi sulla relatività della verità.
Se uno è sul sentiero della Dea, secondo me, potrà essere
relativista su molte cose, ma non nellindicare una forma in qualche
modo privilegiata di rapporto col divino: i cicli naturali.
† Incontrare i cicli naturali vuol dire andarci in mezzo alla natura,
sporcarsi le mani, camminare, guardare, annusare ossia: usare il
corpo, lunica via sensata di accesso alla magia. E oltre al nostro
corpo cè il Corpo del Mondo. Non ha senso parlare di immanenza,
se poi diciamo che le componenti non hanno significato di per sé.
Il Corpo del Mondo non è in noi, siamo noi che siamo in lui. E
dobbiamo adeguarci, seguire le sue linee, i suoi movimenti
e i simboli
che ci presenta. Senza dimenticarci del divino che cè nelle
cose, prima e al di là che nella coscienza.
Del resto anche alcune correnti della psicoterapia contemporanea
seguono questa direzione.
La separazione, propria della civiltà occidentale di psiche e soma,
mente e corpo sembra oggi superata: a parole si dice che siano una cosa
sola; nei fatti si continua a pensare al corpo non come ad un elemento
attivo e produttore di senso e significato dellesistenza, ma pressappoco
come ad una macchina, che ha funzioni puramente meccaniche e che nulla
ha a che fare con la nostra interiorità, che lo usa come uno strumento.
Leggendo il libro di Alexander Lowen, Bioenergetica (Feltrinelli,
2004) e meditando sulla mia personale esperienza bioenergetica e con le
arti marziali, ho riflettuto sul parallelo fra la sua visione psicosomatica
delluomo e il rapporto fra psiche e soma nella magia.
Per la bioenergetica mente e corpo sono due realtà funzionalmente
identiche, per cui ogni conflitto psichico risulta anche in un blocco
a livello corporeo, innanzitutto muscolare. Ogni blocco di energia si
manifesta sia su un versante psicologico, come rimozione, complesso o
altro, sia su un versante somatico, come contrattura cronica dei muscoli,
tensioni e postura. Pensare di risolvere un problema solo sul piano della
parola, della terapia analitica classica, è un † errore: le tensioni
croniche del corpo riporteranno il paziente nella precedente situazione
di conflitto. Si deve dunque agire sul corpo, col corpo (oltre che sul
piano della parola, comunque valevole e presente), imparando a riconoscere
il suo valore espressivo. Il presupposto è che ci sia una energia
(bio-energia), che unifica corpo e mente e che si mostra in questi due
piani parallelamente.
Trovo che questa impostazione abbia una profonda affinità con quanto
ho detto sulla magia, sui simboli e sulle cose magiche.
Unespansione logica del discorso è nella direzione del rituale,
della celebrazione.
Leliminazione del Corpo del Mondo, porta al cosiddetto rituale
spontaneo che significa, troppo spesso e volentieri, nulla di più
che un generico sorriso, un benessere, qualche sentimento e respiro profondo
e
voilà! Il Divino è servito!
Bastasse così poco per mettersi in contatto con gli Dei! Sembra
ben strano che tutti i percorsi spirituali si siano adoperati per codificare
un qualche tipo di ritualistica e solo alcuni illuminati abbiano invece
compreso, allalba del nuovo millennio, che tutto questo non serve
e che basta il sentire.
Anche qui ci si dimentica del corpo. Il sentire, anche quello ordinario,
è pressoché indistinguibile dalle sue espressioni corporee:
non è qualcosa che accade dentro di noi, ma a noi, a partire dalla
nostra fisicità il respiro accelerato, la salivazione, i
movimenti, i battiti del cuore, la postura, lespressione degli occhi,
linclinazione delle labbra, il passo, il colorito è
tutto questo che ci parla delle emozioni, perché le emozioni, nella
loro essenza, non sono separabili dal soma, dal corpo.
Così pure per il sentire religioso, secondo me. Questo non può
essere separato dallatto rituale, da †lle parole sacre, dai gesti.
Naturalmente cè una possibile obiezione: si può essere
daccordo con me su questo punto, ma non vedere la necessità
della codificazione, di forme più o meno fissate di culto. E questo
è ben strano, perché la vita di ognuno di noi è zeppa
di atti rituali conservati immutabilmente per lunghi anni.
Cè il momento dellispirazione, in cui improvvisamente
viene da connettersi al Divino seguendo listinto. Quella è
una porta, si è aperta una via. Seguirla una seconda, una terza
volta non solo ci rende più semplice la connessione, ma ci fa imparare
qualcosa su noi stessi.
Se ogni volta che dobbiamo connetterci alla Dea improvvisiamo, non seguiamo
un percorso, ma solo il nostro estro e una strada non esaminabile, che
non possiamo riprendere in mano. Se invece si creano dei ponti stabili
(questo sono, in fondo, i rituali; non dei salti intuitivi, ma delle vere
e proprie autostrade dello spirito) essi possono essere ripercorsi, modificati,
possono crescere con noi
e ci consentono di non perderci. Sappiamo
sempre dove ci troviamo.
I rituali sono un po come dei compagni, che ci guidano nelle nostre
peregrinazioni e guadagnano potere ogni volta che li ripercorriamo. Perché
se una preghiera o un incantesimo lo abbiamo pronunciato dieci, cento
volte, non appena inizieremo a pronunciare le prime parole, la nostra
mente e tutto il nostro essere (psichico e corporeo) già si predisporranno
verso il divino, si orienteranno verso di esso, portandoci senza sforzo
fino al grembo della Dea.
* Corollario: le verità non sono confrontabili fra loro (perché
si richiederebbe una verità di ordine superiore, in qualche modo
non relativa). Altro corollario, che manca di venir tratto: ogni dialogo
è insensato, perché non ha fondamento, non c&egr †ave;
argomentare o esperienza che tenga, tutto è soggettivo.
Testo
originale di Gabriel per www.ilcerchiodellaluna.it
© 2006
Inserito nel sito https://www.ilcerchiodellaluna.it
il 2 marzo2006
L'immagine è tratta dal sito :
https://www.wyldewomen.com/artists_rudzis.htm
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