I
Sacri Riti del Sangue Femminili
di Violet*
Ci fu un tempo in cui tutte le Donne seguivano gli insegnamenti della
Grande Madre, udivano il suo canto nel vento, nel mormorare delle foglie,
nel silenzio della notte, e colme della Sua consapevolezza ne rispecchiavano
i bei lineamenti.
Depositarie della Conoscenza divina, appresa sin dai primi anni di vita
per trasmissione orale, esse condividevano con amore e indicibile dolcezza
ogni passaggio della loro vita, ogni momento di “morte nella vita”
e di “vita nella morte”. Le loro fasi muliebri erano celebrate
con riti sacri, con feste e manifestazioni gioiose e probabilmente comprendevano
pratiche segrete e lunghe meditazioni che ispiravano la tenera Comunione
con la Dea, fonte inesauribile di emozioni e sensazioni tanto belle
e amorevoli da non poter essere descritte con semplici parole.
In quel tempo, le Donne-Luna, ovvero le donne
che per la loro perfetta armonia lunare/femminile potevano essere viste
come Figlie della Luna, onoravano i propri cicli di sangue come momenti
di pura magia, di segreta intimità, di scoperta delle segrete
sostanze di vita.
Il sangue che, caldo, scivolava tra le loro gambe era per loro un dono
prezioso che richiedeva attenzioni premurose, periodi di tacita contemplazione
ed introspezione: non mentale e governata dalla ragione, ma istintiva
e legata alle naturali percezioni del corpo.
Attraverso il Ciclo, esse accedevano misteriosamente a stati di coscienza
diversi da quelli consueti, grazie ai quali profetizzavano, si accostavano
all’inconoscibile, ricevevano sogni e visioni sottili che, spesso,
le portavano a prendere decisioni importanti per tutta la tribù,
nonché a guidarla con equilibrio e saggezza. Si potrebbe pensare
che proprio in questi momenti sacri e grazie a queste visioni, le Donne
percepivano e raccoglievano immagini simboliche che poi trasformavano
in storie e fiabe, in nuovi canti, in nuovi miti e riti sacri: comprendevano
nuovi frammenti del sapere divino e nuovi modi per trasmetterlo alle
proprie sorelle.
Il sangue, infatti, era ritenuto foriero di Conoscenza e i sogni che
avevano a che vedere con il suo scorrere erano fonte stessa di sapienza
ancestrale.
Esso era inoltre visto come la primigenia sostanza da cui aveva origine
ogni più semplice forma di vita, poiché vi risiedeva la
misteriosa magia di Creazione, la primitiva argilla che formava e plasmava
il bimbo nella pancia della mamma e che gli donava la preziosa Anima
imperitura.
Come un purpureo fiore dall’acre profumo, il flusso sacro poteva,
infatti, trasformarsi in frutto, ma poteva anche sfiorire semplicemente,
perdendo i suoi delicati petali come liquide gocce vermiglie.
L’interna fioritura e deperimento del ciclo femminile, che rendeva
le donne ricettacolo di fertilità e sterilità, di vita
e morte regolarmente alternate, rispecchiava il succedersi costante
dei tempi della Natura, delle stagioni e, soprattutto, delle età
della Luna.
Dolce sorgente femminile d’acqua e di sangue, la Regina del cielo
è, sin dall’inizio del tempo, la Guardiana del sacro ritmo
terrestre che genera il mutamento perpetuo; governa e scandisce, in
un divino connubio di luce ed ombra, il profondo contrarsi del sotterraneo
utero primitivo, insegnando a seminare e a raccogliere, a tagliare e
lasciar crescere, a creare, in un divampare ardente di vita, e a covare
l’ispirazione nel tiepido ventre oscuro.
Da questo ritmo divino, dall’oscurarsi e schiarirsi della Luna,
dal loro sangue mestruale, le antiche Donne apprendevano la natura del
Ciclo perpetuo, del Tempo e della Misura. In armonia con essi, danzavano
splendidamente e le loro movenze riflettevano l’armonia delle
acque nascoste, delle maree e, più di tutto, della loro amata
Luna, che da sempre vegliava su di loro e splendeva nei loro occhi.
Luna che è Donna, così come la Donna è un suo sublime
raggio d’avorio, disceso e fiorito sulla Terra.
Vivendo e conoscendo la Grande Madre come generatrice del divenire e
conservatrice del suo stesso nucleo di luce perenne, esse comprendevano
la loro similitudine con Lei e capivano che tutto ciò che avevano
bisogno di conoscere era già presente in loro stesse sin dalla
nascita. Così si osservavano e si scoprivano lentamente, sostavano
in silenzio sul limitare dei ruscelli, sotto l’ombra degli alberi
ricoperti di muschio, accanto al fuoco delle loro abitazioni…
si osservavano, si ascoltavano… e Sapevano.
I loro antichi e splendidi riti riposano in un tempo passato. Forse
qualche anziana dallo spirito antico, che nonostante il lento degenerarsi
dell’umanità esiste ancora, ne conserva il ricordo e lo
preserva segretamente, ma di fatto poco di conosciuto è rimasto
qui, per noi che cerchiamo.
Eppure quel poco che è sopravvissuto, proveniente soprattutto
dalle tradizioni dei Nativi Americani, è tuttora ricco di magia
ed amore tanto grandi da far salire agli occhi qualche lacrima solitaria,
memore di una qualche strana nostalgia che qualcuno prova ancora in
fondo al proprio cuore.
Uno dei riti che abbiamo la fortuna di conoscere, probabilmente di origine
molto antica, è quello che la tribù dei Kuna, dell’istmo
di Panama, celebra per le fanciulle che versano il loro sangue per la
prima volta.
Come in moltissime altre culture il rito è compiuto ed assistito
dalle anziane, ovvero da coloro che hanno vissuto tutte le fasi della
vita femminile e che pertanto possiedono la più alta saggezza.
Queste fanno sdraiare sul suolo nudo la giovane donna e, sedendo in
cerchio intorno a lei e fumando, le lanciano addosso della terra per
ricoprire il suo corpo. Mentre fumano le Donne intonano i canti sacri
ed invocano la Dea Mu, protettrice dei Kuna e generatrice del Sole,
della Luna, delle Stelle, degli animali e di tutta la lussureggiante
vegetazione.
Dopo essere stata “sotterrata”, la ragazza si scuote via
dal corpo il terriccio e le anziane le cospargono il viso col succo
purpureo di una pianta chiamata Saptur. Questa pianta cresce in una
caverna poco distante dal luogo del rito; una caverna in cui sono seppelliti
i morti della tribù. La sua linfa rossa si crede che sia il sangue
mestruale di Mu.
Dipinta di rosso, la giovane è quindi pronta per entrare nella
sacra capanna di Inna, dove viene celebrato il rito d’iniziazione,
e qui le vengono tagliati i lunghissimi capelli.
Come cadono a terra i capelli, ciocca dopo ciocca, così la fanciulla
lascia cadere la propria infanzia, della quale si è definitivamente
spogliata. Ella la dona a Inna e accede ad una nuova fase della sua
vita, divenendo donna.
In questo bellissimo rituale sono presenti molti temi simbolici che
richiamano la morte e il passaggio a nuova vita. L’albero dal
succo di porpora cresce in mezzo ai morti, eppure rappresenta il sangue
di Mu, il sangue della vita, della fertilità, della bimba che
da vergine diventa donna in grado di procreare; l’essere ricoperte
di terra evoca la sepoltura che si dà ai defunti e segna la fine,
il sotterramento di un vecchio modo di essere da cui la fanciulla si
purifica, poiché il passaggio deve essere accettato, così
come ciò che ne consegue. Anche il taglio di capelli rappresenta
la morte di una parte dell’essere e l’accesso ad una nuova
condizione interiore ed esteriore.
L’usanza di tagliare i capelli in occasione dei riti di passaggio
era piuttosto comune in molte parti del mondo e indicava la transizione
da uno stato all’altro, il mutamento e la trasformazione che portavano
la persona ad abbandonare la sua vecchia identità. Completamente
rasato, inoltre, il capo assomigliava sia ad un teschio che alla testa
di un neonato e questa immagine rafforzava ancora di più la connessione
con la morte e la rinascita, incoraggiandole entrambe.
Attraverso il menarca la fanciulla viveva un vero e proprio viaggio
nell’oltretomba, per uscirne rinnovata e per rendersi sacra agli
occhi delle sue sorelle e della divina Mu.
In alcune tribù di nativi americani la donna che sta vivendo
i suoi giorni di sangue possiede un grande potere poiché è
direttamente connessa con l’energia primordiale della Grande Madre.
Gli stessi nomi con cui, in tutto il mondo, veniva –e forse viene
tuttora- definito il flusso femminile richiamavano sempre qualcosa di
magico, misterioso e molto potente.
La parola che noi conosciamo, ovvero “mestruo”, deriva sia
da “mese”, sia da “misura” e da “luna”
(dal latino men e dal greco mens, menos), ma la sua radice “me”
o “ma” richiama forse il “mana”, l’energia
immanente che per i melanesiani permeava ogni cosa esistente sulla Terra.
Il ciclo mestruale era quindi una vera e propria emanazione di energia
pura ed elementare che le donne condividevano consapevolmente, isolandosi
nelle capanne sacre per poi uscirne rinnovate e colme di nuova saggezza.
In molti popoli il sangue femminile era intimamente connesso al Serpente
e ai suoi simboli di ciclica rigenerazione. Il serpente, più
di ogni altro animale per via del suo cambio di pelle, rappresenta le
varie morti e rinascite che fanno parte della vita dell’individuo,
ovvero i diversi momenti di passaggio da una fase all’altra dell’esistenza.
Intensamente connesso alla Luna ed alle acque, alla terra e alla fertilità,
il serpente è quindi emblematicamente inseparabile dalla Donna
e dal suo sacro flusso, poiché la loro energia rigeneratrice
è considerata simile.
Tra gli Indiani Chiriguanos, quando la giovane donna versa il suo primo
sangue, le donne della tribù inscenano un rito in cui tentano
di cacciare via il serpente che l’ha morsa, ferendola; in altre
tribù, invece, le fanciulle danzano gioiosamente intorno all’immagine
di un serpente, forse sotto ai raggi della luna che carezzano il loro
bel corpo.
Un
altro dei riti di passaggio che sono giunti sino a noi, legato al primo
sangue delle fanciulle, proviene dalla tradizione dei Navajo ed è
conosciuto con il nome di Kinaalda (“rito di pubertà”).
Secondo le leggende questo bellissimo rito fu insegnato alle donne da
Estsanatlehi (“Madre di tutti”), la Donna che Muta, o Donna
che si Rinnova, chiamata con molti nomi diversi tra cui Donna Conchiglia
Bianca e Donna Dipinta di Bianco. Ella è la personificazione
divina della Terra, con il suo Equilibrio immutabile ed i suoi Cicli
perenni. Rappresenta l’eterno mutamento, l’interminabile
girare della Ruota del Tempo, ma anche l’assenza del Tempo stesso
che esiste oltre le concezioni ed i limiti umani; traccia il sentiero
delle stagioni, che mutano quando Lei muta il suo abito, veglia sui
cicli della Luna e delle Donne, su quelli del sangue e sui passaggi
della vita femminile, specialmente su quello determinato dalla comparsa
del mestruo che rende la fanciulla feconda.
Splendidamente vestita di candide conchiglie e di preziosi turchesi,
è la segreta amante del Sole, con il quale fa dolcemente l’amore
nei boschi verdi e sulle spiagge bagnate dalle onde, forse insegnando
alle donne a fare lo stesso…
La sua pelle non raggrinzisce mai perché ogni qual volta Ella
raggiunge una certa età si incammina verso Est, dove incontra
la Se Stessa fanciulla e, abbracciandola, ne riassume le sembianze.
Per questo si dice che fu Lei ad istruire le Donne sui segreti dell’Eterna
Giovinezza, mostrando loro come mantenere viva ed ardente la Bimba interiore
nonostante l’incedere degli anni ed il peso del corpo. Allo stesso
modo, fu Lei a trasmettere loro tutta la Conoscenza tradizionale, così
come gli antichi riti, i canti sacri, le parole magiche e i profondi
misteri femminili. Fu Lei disegnare la Via della Bellezza e a donare
l’istinto della Ricerca.
Le genti che la amano le parlano con affetto, le offrono doni e la nutrono;
la venerano con i canti e con la narrazione, ma soprattutto con ciò
che le è più caro, il Kinaalda a cui avevamo precedentemente
accennato.
In questo rito, che dura quattro giorni, la fanciulla divenuta donna
si trasforma nella Donna che si Rinnova ed accoglie il Suo potere sacro
dentro di sé, spargendo benedizioni al popolo che la festeggia
con gioia e devozione. Le anziane della tribù la vestono con
conchiglie bianche, simbolo della bellezza languida e voluttuosa delle
acque e della femminilità, poi, facendola sdraiare con la pancia
a contatto con la terra, la massaggiano con mani sapienti. Si crede,
infatti, che nei momenti di passaggio e di iniziazione ad una nuova
condizione di vita, il corpo ritorni morbido come al momento della nascita
e che possa quindi essere “impastato” e “modellato”
come fosse fatto d’argilla o di soffice pasta di pane. Così,
lo si aiuta ad assumere una nuova forma, quella della donna fertile,
in armonia con la trasformazione avvenuta interiormente.
Durante il primo e l’ultimo giorno del rito, la ragazza cammina
in senso orario intorno ad un cesto pieno di cereali, pigmenti di pittura,
polline e piume, considerati sacri elementi del rituale; il quarto giorno
viene invece preparato un grande dolce. La fanciulla, insieme ad altre
donne, pesta e polverizza il granoturco, facendolo diventare farina,
e questa viene benedetta con il sacro polline e poi sparsa circolarmente
in direzione del Sole. Quindi vengono presumibilmente uniti altri ingredienti
a formare un impasto che viene poi avvolto nei cartocci del granoturco
ed interrato. Sopra alla terra umida che ricopre il composto viene acceso
un fuoco che per tutta la notte verrà alimentato per cuocere
completamente il dolce.
Nel frattempo tutti si riuniscono nella capanna della fanciulla ed ella
si siede in direzione dell’alba, per accogliere i primi raggi
solari e rappresentare il congiungimento amoroso tra la Donna ed il
Sole. Tutta la notte viene trascorsa ad intonare i sacri canti che invocano
la Donna che si Rinnova, mentre Ella viaggia sulle parole e sulle musiche
vibrate nell’aria sino a quando, nel tredicesimo canto, emerge
nella fanciulla e la colma della sua essenza. Ora la giovane Donna,
completamente identificata nella Dea, canta riferendosi a Lei in prima
persona, parla con la sua voce ed è piena della sua consapevolezza.
Alcuni dei versi cantati sono questi:
“Con il mio potere sacro sto viaggiando
Dietro la mia casa vengono poste offerte votive di conchiglie
bianche stupendamente decorate…
con la bellezza davanti a me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la bellezza dietro di me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la bellezza sotto di me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la bellezza sopra di me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la lunga vita, ora con la bellezza sempiterna, io vivo.
Sto viaggiando
Con il mio sacro potere, sto viaggiando…
Sono qui; sono la Donna Conchiglia Bianca, sono qui…
Sulla distesa di conchiglie bianche, sono qui…”
La sensazione della presenza della Dea viene avvertita da tutti i presenti
e la fanciulla ne percepisce l’Amore universale, la Bellezza immortale
che permea ogni cosa presente sulla Terra. Ella è la Donna che
si Rinnova, è la Madre che ha generato tutto, è l’amante
del Sole. La fulminea Saggezza la riempie ed ella è il Tutto,
è la madre di sua madre, la nonna di sua nonna, l’infante
e l’anziana. Tutte le fasi della sua vita passata e futura sono
presenti in lei e dell’immensa coscienza di quest’unico
istante ella preserverà il ricordo per sempre.
Al termine dei canti e della cerimonia viene dissotterrato il Dolce
della Luna e la fanciulla, sempre rivolta verso il Sole, lo taglia a
fette, conservandone la parte centrale. Tutti se ne nutrono, tranne
lei, che si limita a distribuirlo alle sue genti. In quel momento, infatti,
ella incarna Estsanatlehi che dona ai Suoi figli il Nutrimento.
La torta è simbolo del matrimonio tra la terra ed il sole/fuoco,
tra il femminile ed il maschile; contiene gli ingredienti che la Madre
offre alla Sua progenie ed è una grande benedizione per tutti,
poiché la sua consumazione apporta fortuna, prosperità,
pace e benessere, al singolo come all’intera tribù. Si
potrebbe pensare che, anticamente, uno degli ingredienti segreti del
Dolce della Luna fosse qualche goccia di sangue versato dalla giovane
donna e che fosse proprio tale ingrediente ciò che, più
di tutto, portava benedizione e felicità.
Quando tutti hanno consumato la torta, la fanciulla viene dipinta con
argilla bianca, che ella usa per segnare la pelle di chi desidera ricevere
i suoi divini poteri; poi, viene nuovamente massaggiata dalle anziane,
che le danno anche dei consigli sulla sua nuova condizione.
Il rituale termina con l’interramento della parte centrale della
torta, come offerta e ringraziamento alla Madre Terra, al granoturco
e agli altri preziosi alimenti che nutrono e rendono possibile la vita.
Anche dopo il termine del rito, la fanciulla rimane la Donna che si
Rinnova, poiché per i Navajo ogni donna che ha vissuto il Kinaalda
è la Donna che si Rinnova. Il potere e la presenza della Dea
non la abbandona mai ed essa è considerata sacra, rispettata
ed onorata come si onora il Divino.
Tra gli Indiani Apache esiste un rito simile al Kinaalda, sebbene vi
siano varie differenze che li distinguono. La fanciulla incarna Estsanatlehi,
la Donna che si Rinnova, per tutti e quattro i giorni, ma è interessante
notare il mezzo tramite il quale la splendida Dea entra in lei, ovvero
la Danza.
Il primo giorno, infatti, la giovane danza da sola, liberamente, in
piedi sulla pelle di cervo che è il luogo centrale del rito sacro.
Con il bastone ornato di oggetti magici ed amuleti, ella batte la terra
al ritmo del caldi e profondi colpi dei tamburi, e mentre danza “viaggia”
verso un’altra consapevolezza, più alta, più pura.
Danzando, la fanciulla e la Donna che si Rinnova si incontrano e si
riconoscono come una cosa sola. La fanciulla si lascia pervadere da
Lei e dalla loro Unione scaturisce divina benedizione per tutti i popoli.
Lasciando
per un momento le tradizioni dei Nativi Americani e consultando altre
fonti, leggiamo che il sangue mestruale, preziosa essenza naturalmente
gradita alla Dea Madre, costituì il primo sacrificio offerto
sul Suo altare, sgorgato dal grembo della Sacerdotessa senza dolore
e senza l’immolazione di alcun essere vivente.
Per il suo grande potere, che apriva certe segrete porte di percezione,
si dice che la profetessa dell’oracolo di Delfi, in Grecia, pronunciasse
i suoi responsi proprio durante i giorni in cui esso fluiva dal suo
ventre.
In molte culture lo si riteneva una panacea tanto potente da essere
in grado di guarire qualsiasi male, anche quelli più gravi, ed
il suo potere avrebbe raggiunto l’apice se a spargerlo fosse stata
una giovane fanciulla che lo conosceva per la prima volta. Si credeva
che questo sangue, versato durante un’eclissi di Luna (la magica
“rugiada di Luna”), fosse il più potente e mortifero
veleno usato dalle maghe della Tessaglia; ma potrebbe anche darsi che
questa concezione fosse già stata contraffatta dai degeneranti
ideali patriarcali, poiché una simile sostanza era forse ben
più simile ad una benedizione apportatrice di Fortuna e Felicità,
piuttosto che ad un motivo di lacerante dolore e morte.
Con l’avvento del patriarcato, generato dal lento appassire degli
antichi ideali armonici, il sangue femminile assunse, infatti, connotazioni
profondamente negative e venne chiamato in mille modi terribili. Le
donne che prima erano portatrici di Saggezza, riconosciute dagli uomini
stessi che le onoravano e le amavano, divennero creature infette da
allontanare e maledire, specialmente nel loro “tempo sacro”.
Molto fu detto e molto si dice ancora, ma preferiamo evitare di approfondire
questo tema perché rovinerebbe la bellezza sinora espressa. L’indigesto
frutto dell’ignoranza, infatti, non merita tempo e parole, e rischia
sempre di guastare l’intero Raccolto.
Parleremo, invece, di ciò che proprio attraverso la consapevolezza
del proprio “Sangue della Luna” le Donne particolarmente
fortunate potevano a volte raggiungere dentro loro stesse, ed a questo
proposito ci serviremo di un racconto incantevole, trasmesso solo oralmente
sino a che una preziosa autrice non decise di raccoglierne per sempre
la memoria, mettendolo per iscritto.* Esso appartiene alla tribù
indiana Nootka, nell’isola canadese di Vancouver; tribù
in cui per molto tempo le donne si isolavano durante il loro “tempo
della luna” e trascorrevano alcuni giorni in una capanna chiamata
Casa dell’Attesa. Qui sedevano su speciali sedili di muschio e
vi lasciavano scorrere il proprio sangue, che in questo modo tornava
alla Grande Madre. Quasi tutte le donne avevano insieme il loro tempo
della luna e durante quei piacevolissimi giorni esse parlavano e scherzavano
e ridevano e condividevano dolcemente quel particolare momento. Se i
dolori diventavano molto forti bevevano un tè speciale che li
placava e le sorelle aiutavano ad alleviarli ulteriormente massaggiando
con amore la schiena. Nessun uomo poteva avvicinarsi alla Casa dell’Attesa,
poiché si trattava di un luogo sacro esclusivamente femminile
ed essi non avrebbero potuto comprendere ciò che vi succedeva.
Racconta la leggenda che, molto tempo dopo la scomparsa della Donna
Antica, Colei che aveva insegnato tutti i Segreti ed i Misteri alle
Donne, le genti cominciarono perdere i suoi insegnamenti e a dimenticarLa.
Gli uomini iniziarono a pretendere di comandare e di dare ordini alle
loro compagne e queste lasciarono che il germe dell’accondiscendenza
crescesse dentro di loro, sconvolgendo quell’equilibrio primario
che per secoli aveva generato la perfetta armonia.
Allora accadde che un giorno, la giovane Tem Eyos Ki si recasse alla
Casa dell’Attesa per trascorrere il suo tempo sacro, lasciando
fluire il proprio sangue sul morbido e fresco muschio. Qui vi trascorse
più di quattro giorni insieme ad altre donne…
“Quando ritornò dalla casa dell’attesa era una donna
folgorata dall’illuminazione, una donna colpita dalla meraviglia,
una donna scossa dal potere, una donna piena d’amore. Proveniva
dalla casa dell’attesa con un’espressione sul viso più
potente della magia. Scintille luminose brillavano tra i suoi capelli.
Sorrise e cantò un canto che parlava dell’amore che non
conosce limiti, dell’amore che non conosce legami, dell’amore
che non chiede nulla e nulla si aspetta, ma realizza tutto. Cantò
della conoscenza e del credere, del condividere e del dare. Cantò
di un luogo così meraviglioso che le menti della gente non potevano
nemmeno tentare di immaginare. Un luogo senza collera o paura, un luogo
senza solitudine od incompletezza.
Camminò attraverso il villaggio cantando il suo canto e le donne
la seguirono. Raccolsero i loro bambini, femmine e maschi in egual modo,
e seguirono Tem Eyos Ki, lasciando indietro le pentole da cucina ed
i telai, lasciando indietro i mariti ed i padri.
Tem Eyos Ki camminò oltre il villaggio, lungo le spiagge, verso
la foresta. Cantando il suo canto di amore e di meraviglia. E le donne
la seguirono.”**
Ciò che accadde a Tem Eyos Ki nella capanna dell’attesa
è protetto dal segreto e non è dato sapersi.
Eppure proprio in questa leggenda, che forse è molto più
vera di quanto si possa pensare, ritroviamo uno degli antichi frammenti
di saggezza perduti, ovvero la certezza che, in certi rari casi, dalla
consapevolezza vera e completa del ciclo di sangue e della propria femminilità
sacra, poteva scaturire l’Illuminazione e la ricongiunzione con
la Dea Madre in tutta la Sua essenza, ovvero il meraviglioso ritrovamento
di Lei nel proprio interno.
Si dice che ogni antica leggenda racchiuda in sé un insegnamento
altrettanto antico, attingibile in ogni tempo ed in ogni luogo esistente.
Forse una di queste leggende è proprio quella della lucente Tem
Eyos Ki, che è in grado di parlare ancora alle donne, di cantare
per loro, di chiamarle a seguirla, abbandonando ed oltrepassando la
banale cortina di comune quotidianità per posare lo sguardo nell’Oltre.
E forse uno dei modi per fare questo passo è prendere consapevolezza
dei propri cicli e della propria sacralità femminile che nessun
mortale o falso dio può deturpare o
cancellare.
Isolarsi in una propria sfera magica, separata dal mondo esterno, con
i suoi ritmi fittizi e le sue vitree illusioni, ricercando i lembi del
sentiero della Bellezza, potrebbe costituire il primo passo verso la
Bellezza stessa.
Armonizzarsi con i veri tempi lunari e terrestri, danzare e cantare
i loro ritmi, amare il proprio flusso di sangue ed il proprio splendido
corpo, potrebbe ricreare l’antica sintonia istintiva con la Natura
e con la Dea Antica che irradia Amore ultraterreno.
Versare il proprio sangue sulla terra muschiata forse farebbe sorgere
la percezione di un cerchio che si chiude, di un’offerta che ritorna
alla propria stessa origine.
Osservare, scoprire ed ascoltare sono forse gli insegnamenti più
veri che la Donna che si Rinnova potrebbe donare, ricordando che tutto
ciò che c’è bisogno di conoscere è già
presente nella meravigliosa Donna, sin dalla sua nascita.
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* Articolo di Violet. tratto da Il
tempio della Ninfa e, pubblicato su www.ilcerchiodellaluna.it
nell'ottobre 2008
Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell'autrice
e senza citare la fonte.
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Per
entrare in connessione con le energie sacre del nostro ciclo mestruale,
il Cerchio della Luna propone:
a Milano un gruppo di incontri
sul femminile, la luna e il ciclo.
In tutta Italia, seminari
su Luna e Ciclo
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Note:
*Anne Cameron in Le Figlie della Donna di Rame
**Cfr. Anne Cameron, Le Figlie della Donna di Rame, Edizioni della Terra
di Mezzo, Milano, 2000, pp. 56-57
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Fonti:
Le Figlie della Donna di Rame, Anne Cameron. Edizioni della Terra di
Mezzo, Milano, 2000
Prima di Eva. Viaggio alle origini dell’Eros. E un dialogo sull’enigma
della bellezza con Lella Ravasi Belloccio, Luisella Veroli. Associazione
Culturale Melusine, Edizioni La vita felice, Milano, 2000
Baubo, la vulve mythique, G. Devereux. Ed j. C. Godefroy, Paris, 1983
Oscure Madri Splendenti, Luciana Percovich. Edizioni Venexia, 2007
La Dea, Shahrukh Husain, EDT, Torino, 1999
Il risveglio della Dea, Vicki Noble. Tea, Milano, 1998
Il corpo della Dea, Selene Ballerini. Atanòr, Roma, 2003
Il linguaggio segreto della Danza del Ventre, Maria Strova. Macroedizioni,
2005
L’iniziazione femminile nella mitologia greca, Ken Dowden. ECIG,
Genova, 2003
Le Vergini arcaiche, Leda Bearné. Edizioni della Terra di Mezzo,
Milano, 2006
Le donne, la vulva e le loro magie, Selene Ballerini, in La magia della
sessualità, a cura di Mariano Bianca. Atanòr, Roma, 2000
Figure di donna nei miti e nelle leggende, Patricia Monaghan. Edizioni
Red, Milano, 2004
The People Called Apache, Thomas E. Mails, New York, Promontory Press,
1981
Sesso libero ma dalla mente, AA. VV. Jubal Editore, 2005
L’Isola Incantata delle Figlie della Luna
Il ciclo mestruale: sangue e magia, di Sunita
https://www.auraweb.it/articolo_benavere.asp?cid=9&aid=727
https://www.viator.it/HTML/donna.htm
https://www.terranauta.it/article_det.php?id=1719
https://www.orgsites.com/fl/daughters/_pgg3.php3
https://shaylae.com/kinaalda.htm
https://www.firstpeople.us/FP-Html-Legends/Changing_Woman-Navajo.html
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Immagini:
Venus, di Susan Seddon-Boulet
Kali in una scultura del XVII° secolo
Cerimonia Navajo
Sibilla la profetessa
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