Doula è una parola antica di origine greca. Alcuni traducono
“colei che serve la madre”, ma si tratta di un eufemismo.
Doula in greco vuol dire schiava, ed era, ai tempi di Socrate e di Pericle,
la schiava domestica che si occupava degli affari della casa, in particolare
quelli relativi alla sua padrona, la sua bellezza, la sua salute, le
cure, e naturalmente la gravidanza e il parto.
Il mito ce la rappresenta così, affaccendata intorno al parto
di Alcmena, in procinto di partorire Ercole. Mentre la levatrice aspetta,
immobile, Galati, la doula si affanna fuori e dentro la stanza del parto,
prepara i famosi “panni caldi” e l’acqua bollente
immancabili in ogni rappresentazione del parto. Ma soprattutto Galati
è inquieta, ha avvertito che c’è qualcosa che non
va, il parto si sta protraendo da giorni, Alcmena ha contrazioni dolorosissime
ma il parto non progredisce, le donne che l’assistono sono costernate
e temono il peggio. Prima dell’avvento del cesareo è l’annuncio
di una morte certa, del bambino o della madre, spesso di entrambi. Alcmena
è incorsa nelle ire di Era, la legittima moglie di Zeus. Il sommo
Olimpo, padre di tutti gli dei, l’ha tradita ancora una volta
con una mortale, Alcmena, fecondandola. Ma questa volta Era non chiude
un occhio come spesso è costretta a fare. Motivazioni politiche
e dinastiche glielo impediscono, è in gioco il diritto di regnare
su Tebe e sarà un altro a farlo nascendo per primo, discendente
di Era, non Ercole il bastardo. Così Era sta ritardando il parto,
Ercole deve nascere secondo, non importa che muoia o che possa morire
la madre, così è stabilito. Ma Galati non la pensa così,
vuole salvare la sua padrona e che il parto finalmente si compia, ed
ecco che una delle tante volte che entra ed esce dalla stanza del parto,
vede finalmente e capisce la causa di tanta sciagura: è Lucina,
la dea del parto in persona appollaiata per ordine di Era sull’architrave
della porta d’ingresso della stanza del parto di Alcmena, beatamente
a gambe incrociate. E con il suo incrociare le gambe impedisce il parto
di Alcmena.
Allora Galati elabora uno stratagemma ai danni di Lucina e con un’intuizione
geniale risolve il problema, permettendo il parto con mezzi esclusivamente
verbali e direi psichici, in quanto è un vero e proprio intervento
di terapia strategica breve che Galati mette in atto risolvendo il caso.
Entra dunque nella stanza e guardando Alcmena, congiunge le mani ed
esclama: Finalmente ha partorito, Signora ! Che bellezza! A quel punto
Lucina, colta di sorpresa, per lo stupore è costretta ad aprire
le gambe ed alzarsi per andare a vedere cosa è successo, come
è stato possibile quel fatto contro la sua volontà. In
quel momento Alcmena, liberata dall’impedimento, partorisce. Nasce
così Ercole, il più forte tra gli eroi.
Trovo il mito di Galati molto significativo per un’analisi psicologica
del parto, mette in scena con grande arguzia quelli che spesso sono
i temi psichici principali durante un parto: il senso di colpa, il dolore
spesso percepito come un attacco esterno, la paura della separazione,
la lotta prolungata fino allo spasimo tra la paura e il bisogno, tra
ragione e sentimento, tra la volontà di trattenere e il desiderio
di lasciare andare e di lasciarsi andare a quella parte di sé
dentro di sé che “sa” cosa sta succedendo e perché,
oltre e aldilà della ragione…
Tutto questo e molto altro succede durante un parto e ben poco spazio
o nessuno oggi viene invece lasciato all’elaborazione del parto
come avvenimento psichico oltre che fisico. Oggi, nell’era tecnologica
dove il parto è ridotto ad evento patologico da medicalizzare
e controllare in ogni sua fase, anche negli ospedali più “umanizzati”
( il termine dovrebbe farci riflettere su cosa sono gli altri), tralasciando
e distorcendo o comunque non riconoscendo il giusto significato agli
aspetti rituali e psichici, i momenti di passaggio che segnano questa
vera iniziazione per la donna che diventa madre. Si celebrano i riti
della dea Medicina, che tutto cura e tutto risolve e quelli di Sicurezza,
altra dea a cui abbiamo immolato la nostra ragionevolezza e a volte
anche il semplice buon senso ( non a caso poi Asclepio, il primo dio
medico sembra essere nato da parto cesareo). A costo per la donna e
per il suo corpo di diventare un oggetto di cure, non una persona con
cui relazionarsi, un soggetto responsabile, il cui sentimento di autoefficacia
e il buon esito del parto dipendono proprio dalla relazione con il suo
corpo, con il suo passato, con chi l’assiste, con la sua capacità
di essere delusa dalla realtà del parto e del neonato, nello
spazio e nel tempo dell’evento, il suo contesto psichico, in una
parola con il setting.
Al polo opposto l’idea di natura e di “naturalità”
del parto. Partorire è “naturale” dicono, nel più
del novanta per cento dei casi, la donna partorirà “naturalmente”
e non andrà incontro a nessun problema.
Già ! Ma ancora una volta si mette in ombra proprio l’aspetto
psichico della faccenda, le “credenze” della donna. Perché
quel dire intorno a questo famoso novanta per cento che tanto si sbandiera,
“in condizioni ottimali” tralascia proprio l’impatto
psichico della qualità dell’assistenza, l’importanza
della relazione, la direzione del transfert, le responsabilità
e le scelte che la donna è accompagnata ad assumersi relativi
al proprio “mettere al mondo”, e di nuovo la relazione con
il proprio corpo, con il padre del bambino, con la famiglia d’origine,
con i propri fantasmi, con le proprie aspettative e desideri. C’è
davvero uno spazio per tutto questo nel concetto di “naturalità”
del parto ?
Se il parto è un evento naturale perché allora prendere
coscienza ? Di cosa ? Del fatto che è naturale naturalmente…
Senza contare che l’idea di natura esclude quel dieci per cento
che anche in condizioni ottimali non partoriranno naturalmente. E che
diventa così cosa ? Subumano, innaturale, o come ho sentito dire
da una donna che non riuscì a partorire a casa, anche lei come
Alcmena, per un parto che non progrediva, essendo subentrati segni di
sofferenza fetale, “perché non sono abbastanza donna”.
Bocciata dunque, reietta da madre Natura, o madri di serie b se vanno
in ospedale perché non hanno capito in tempo a quali pericoli
andavano incontro nella giungla ospedaliera, o non hanno saputo (da
sole ?) risolvere i loro problemi psicologici. E dunque, tra le righe,
è colpa loro, se la sono voluta. Ancora una volta, come per Alcmena,
di colpa si tratta, e come diceva l’Elettra di Sofocle: “In
un mondo di colpe, la colpa è legge possente”.
Di contro l’idea della “naturalità” del parto
è anche un potente veicolo di suggestione, e come tale decisamente
benefico. Le donne possono concentrarsi su di sé, sulla loro
“natura” femminile, credere che tutto andrà bene,
aumentare la propria autostima. Come è stato dimostrato più
volte le aspettative della donna su “come andrà il parto”
possono condizionare il parto stesso, sia positivamente che negativamente.
Ma Natura e Cultura devono per forza essere in disaccordo ? Non si può
pensare ad una prospettiva, un punto di vista, un “vertice”
in cui siano possibili e pensabili entrambe le chiavi di lettura ?E’
possibile pensare la gravidanza e il parto come eventi fortemente culturali
e inevitabilmente naturali ? Fortemente quindi attraversati da quell’incerto
luogo d’ombra che ospita l’incontro tra le credenze della
donna su se stessa e il mondo e le credenze sociali che siano “dominanti”
o meno.
E’ dunque un importante “travaglio culturale” che
la donna svolge nel suo diventare madre. Ed è in questa zona
d’ombra, in questo intreccio di culture e di interessi ed emozioni
diverse che credo debba situarsi il lavoro della doula di oggi.
La moderna fortuna professionale della doula comincia non a caso in
America e rappresenta una soluzione valida al disgregarsi della società
e della famiglia tradizionale. Catapultata l’odierna gestante
in una famiglia nucleare, con una madre spesso lontana, psicologicamente
o fisicamente assente, o in pieno conflitto di separazione e individuazione,
con un contesto vicinale di di donne e amiche madri assente, senza mai
avere visto un neonato in precedenza e senza nemmeno essersi mai posta
il problema, la neomadre ha innanzitutto bisogno di una figura di riferimento
che le “faccia da madre” ma anche da mentore, da novello
Virgilio, un po’ antropologa, un po’ psicologa, un po’
ostetrica, multidisciplinare per origine e per vocazione, che le offra
un contenimento psichico valido per elaborare i problemi precedenti
alla gravidanza che possono ripresentarsi durante il parto, e che la
aiuti a scegliere senza schierarsi, ad orientarsi nel vasto mondo dell’offerta
ginecologica e ostetrica, andando oltre le ideologie per cogliere la
realtà interna della donna, rispettarla e incoraggiarla ad esprimersi.
Offrendole un’informazione corretta, non edulcorata e priva di
ambiguità. Sostenendola con un rapporto fatto di confidenze e
discussioni ma anche di coccole, tè caldo e dolcetti. Invitandola
a ricordare e a rivivere la sua infanzia, i suoi cibi preferiti, i massaggi
e le cure di cui aveva bisogno e che amava, in modo da facilitare insieme
alla presa di coscienza adulta anche la regressione che sarà
poi di fondamentale importanza per l’empatia e la comprensione
del neonato.
Oggi la doula è una figura professionale sempre più diffusa
in America con le proprie associazioni di categoria e con molte iniziative
variegate e propositive. Si propongono come doule pre-natali, doule
per il parto, in casa o per l’accompagnamento in ospedale, e come
doule post-natali per l’assistenza domiciliare dopo cesareo, per
parti gemellari o per chi vuole godersi la giusta assistenza in un momento
difficile come il dopo-parto dove ci si comincia ad assumere tutte le
responsabilità della cura di un neonato, con una grande stanchezza
addosso (dopo quella traversata oceanica che è il parto) e mentre
tutti si aspettano la mamma in forma smagliante che esiste solo nella
pubblicità,tu hai bisogno di riposo, sonno, coccole, piccole
attenzioni, tempo per farti una doccia, e le parole giuste che permettano
l’espressione delle emozioni e dei bisogni senza essere invasive.
Anche in Europa e in Italia la figura della doula si sta sempre più
diffondendo, segno ancora impercettibile di una cultura che cambia.
Cosa vorrà dire per le donne italiane, da secoli una cultura
matrifocale e matrilocale, cioè centrata sull’importanza
della madre nelle relazioni familiari e della famiglia con il sociale,
appoggiarsi in “questioni di maternità” a delle professioniste
? Forse una famiglia meno onnipresente e onnipervasiva di un tempo,
meno forte e coesa ma anche con nuovi spazi di libertà e individuazione.
Occasione da non sottovalutare dunque per i nostri connazionali da sempre
bollati come “mammoni”, con svincoli difficili e sempre
più “rimandati”, verso una nuova cultura della maternità,
più rispettosa di spazi personali e soggetti coinvolti.
Per informazioni contattare Emanuela Geraci: egeraci@libero.it
tel. 3391584981
Siti di riferimento
www.mondo-doula.it
www.doula.it (con bibliografia)
www.dona.org (per le doule americane)
Testo e ricerca di Emanuela Geraci
per il Cerchio della Luna © 2007
inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it
nel novembre 2007.