Femminile
Parole e versi che ci hanno ispirato nel mondo del femminile


Latte Bianco, Latte Nero, Latte Divino
Di Emanuela Geraci

Nel paese di Cuccagna, luogo utopico dove tutti i nostri desideri vengono realizzati, scorrono fiumi di latte e miele. Il latte è rimasto per me negli anni una bevanda magica, qualcosa che ancora oggi, può rinnovare il desiderio e il gusto, il piacere di vivere, di incontrare ogni giorno un giorno nuovo.
Una tazza di latte caldo è terapeutica ed il latte fresco, appena munto, mi da un piacere particolare, nostalgico e corposo. Crea un corpo all'immaginario, un contenuto alla fantasia, rinasco neonata e madre che allatta.

Il latte è un bagno di bellezza, il famoso bagno di latte d'asina di Cleopatra. O quello, quotidiano di un'anziana signora che incontrai una volta in un ristorante greco, che mi confidò il segreto della sua pelle morbidissima e liscia nonostante l'età avanzata: bere almeno un bicchiere di latte fresco ogni giorno !
E così dal giorno di quell'incontro, il latte fu per me annoverato tra i rimedi di bellezza, toccasana e conforto universale, a dispetto di tutti gli alimentaristi che predicano su “l'innaturalità “ dell'assumere latte in età adulta.
Mi sento in questo più vicina alle tribù di pastori nomadi di tutte le culture, per i quali il latte è spesso l'alimento base, ai guerrieri Masai che si nutrono, a volte esclusivamente, di latte e sangue.
O a Caterina da Siena, mistica e santa, che disse di Dio, conferendogli attributi materni, “mi notricò di latte e sangue”. Lei la santa anoressica per eccellenza, si lascia nutrire da Dio Madre di latte e sangue, gli alimenti vitali per eccellenza, gli alimenti del rito.

L'offerta di latte è infatti l'offerta più domestica e quotidiana nella devozione femminile in tantissime culture, si lascia una ciotola di latte alle fate nel nord Europa, si versano libagioni di latte nei fiumi in Africa e in Asia, si bagnano di latte le rocce sacre e le conche naturali tra i Celti e gli Etruschi, il latte di donna in particolare è da sempre usato per offerte e rimedi dall'incontestabile valore terapeutico.

Il latte è per tutti gli esseri umani, dall'inizio dei tempi, la prima esperienza del nostro essere, il primo cibo, il primo contatto con una parte del nostro corpo, succhiando dal capezzolo infatti, facciamo esperienza, conosciamo, la nostra bocca, una primigenia esperienza di consapevolezza. Come dice la mia amica Matilde: un' esperienza universale che non ha limiti né frontiere, oltrepassa i confini della razza, dei credo religiosi, dello status sociale, tutti gli esserei umani dall'inizio dei tempi sono uguali perché tutti hanno allattato, e, fino a poco tempo fa, solo dal seno di una donna, pena il rischio della vita, il non essere, la morte, la malattia.
E come accomuna tutti gli esseri umani, ci accomuna, invece che differenziarci, anche dagli animali, ci ricorda di essere animali, figli di una stessa natura, obbligati a tenerne conto.
Ed è una memoria, per molti perturbante, su cui intervenire, a porre un suggello umano di difficoltà, paura, di strumenti e divieti.
A controllare, reprimere, ancora una volta il sentimento panico dell'esistenza.

E' giallo il primo latte, il colostro, ricchissimo di vitamine e minerali, degli anticorpi essenziali che servono al bambino. Lo sanno bene i veterinari e gli allevatori, che per non lasciarsi sfuggire la possibilità di crescere bei vitelli sani, arrivano a mungere e congelare scorte di colostro, pur di non farlo mancare ai vitelli appena nati, tanta è l'importanza riconosciuta a questo primo alimento.
A molti neonati invece questa possibilità è sottratta, ancora tanti gli ospedali in cui non si sostiene l'allattamento al seno e si interviene per boicottarlo.
Ancora e sempre ragioni economiche, le multinazionali, i loro interessi, ed i nostri figli che per la società hanno meno valore di un vitello.
E' bianco il latte della montata lattea, latte d'amore e di tristezza, arrivano le lacrime del latte, ora il bambino non l'abbiamo più dentro la pancia, è lì fuori, separato da noi e chiede in continuazione. E noi, felici, spossate, stanchissime e spaventate, a chiederci: ce la farò ? Mi verrà il latte, non importa quanto ce lo abbiano ripetuto, tutte le donne hanno il latte, ma io ?
Oppure il bambino è lì e non chiede, non si attacca, e bisogna insegnargli noi, che non sappiamo niente. Forse ci ricordiamo, ma io non sono stata allattata o io si, e l'istinto mi aiuterà ? Tutte le donne possono allattare, cosa vuol dire ? Se io non ci riesco vuol dire che sono sbagliata, che l'istinto in me non funziona.
Vuol dire semplicemente che per i nostri corpi di donna è “fisiologico” allattare, e solo in rarissimi casi il problema è un problema fisico. Più spesso invece il problema è altrove, anche l'allattamento come tutto quello che riguarda la maternità possiede questa “ambivalenza”: qualcosa di naturale e fisiologico e allo stesso tempo culturale e condizionato dall'ambiente, dalle relazioni che la madre intrattiene con se stessa e con gli altri.
E' un evento culturale perché ci vogliono determinazione e forza di volontà per superare gli ostacoli dell'allattamento, quelli interni e quelli esterni, i dubbi e le paure che ci assalgono, la nostra esperienza come neonate, l'esperienza di nostra madre, il sentirsi protetta, il non avere persone intorno che “gettano il malocchio” come si diceva una volta, che per invidia o per ignoranza invece di sostenere e accogliere le difficoltà di una madre, le enfatizzano e le ingigantiscono, le rifiutano e le ostacolano. E tutto questo ha un peso nella riuscita di un allattamento: quanto siamo state incoraggiate e accolte nel nostro sentire, quanto siamo state accompagnate e sostenute nell'andare oltre ai piccoli problemi, preoccupazioni, fastidi, e fatiche di ogni giorno. Quante volte ci hanno detto che siamo brave ? Che il lavoro di una mamma che allatta equivale alla giornata di un minatore (ed è vero !) E che ci meritiamo un premio, un regalo, qualcuno che pensa per noi.

Ci vuole tanta pazienza per allattare, tempo, disponibilità, lo spazio mentale fisico per dedicarsi tutta a questa nuova esperienza.
Viviamo di velocità e falsi miti, competizione, rimettersi in forma il prima possibile, non mollare la presa sul lavoro, per non venire scavalcate dai colleghi. Possiamo davvero dedicare tempo, pensieri, attenzione, vita, per questo lavoro infinito di dedizione e amore, osservazione e conoscenza, dove nasce una nuova relazione e la si nutre, con gli sguardi, le coccole, l'attenzione, il calore, il contatto, il nutrirsi, l'offerta del seno, il nostro erotismo, la nostra energia sessuale, tutte le nostre energie migliori impegnate lì, nella cosa più importante, nostro figlio, nostra figlia.
E così comincia il latte bianco, quell'amore fisico, offerto come cibo. Le donne producono cibo ! Comincia la cucina dell'amore, senza tempo, un'estasi senza confini, un piacere assoluto, in cui nutrire te stessa, nascere di nuovo come nutrice, madre, dea d'abbondanza. Sentiamo i nostri seni che si gonfiano appena ascoltano il pianto del bambino, della bambina. I nostri seni sono colmi, la vita è una coppa che trabocca, nutriamo per il piacere di essere madre. Come accadde in illo tempore, il tempo del mito, ad Era, che non potè resistere alla vista di Ercole bambino, lasciato su un sentiero, e così ingannata, suo malgrado, non sapendo chi fosse il bambino, odiato figlio di uno dei molti tradimenti di Giove, lo rese con il suo latte un semidio, fino a che, accorgendosi dell'identità del bambino gli tolse il seno di bocca spruzzandolo in cielo con gran getto, dando così origine alla Via Lattea.
E davvero il nostro latte “rende divini” i nostri figli, attivando l'antico archetipo d'abbondanza, dandogli una possibilità in più di sopravvivenza, lasciandoli inondare dalla piena del nostro amore.

Quell'amore latteo che ci fa venire sonno e inibisce la nostra aggressività, aprendoci ad un mondo di emozioni, a volte sconosciute, un dono che ci ritorna nel suo donarsi, una fatica che si estingue in una sazia soddisfazione.
Un'ebbra soddisfazione di sé, sentiamo nel profondo della nostra interiorità di adempiere alla nostra missione di donna, realizziamo una parte di ciò che ci ha fatte nascere, diventiamo le sacerdotesse che assicurano con il loro fuoco latteo sempre acceso la perpetuazione della specie.
Perdiamo almeno temporaneamente la nostra lucidità, la capacità di concentrarci, la mente analitica che suddivide e isola i problemi, anche la nostra mente diventa relazionale, il bambino è sempre presente, chiacchieriamo con gli amici, lavoriamo, viviamo, ma una parte di noi è sempre rivolta al bambino e proprio l'allattamento fa si che l'enorme responsabilità che questo comporta sia più lieve e che abbia i suoi piaceri. La nostra mente guarda l'intero più che le parti, si apre ai significati profondi dell'esistenza, sempre più vicine, in una prossimità a volte sconvolgente al centro di noi stesse.
Nell'abbracciare, nutrire, riscaldare l'altro, troviamo qualcosa che ci abbraccia, ci nutre e ci riscalda e che si protrae a lungo, a volte per anni, difficile da lasciare, difficile rinunciare all'enorme piacere dell'essere nutrice, e del nutrirsi, d'amore, calore e morbidezza.

E a volte tutto questo ci manca, quando non siamo state allattate, quando non riusciamo ad allattare, quando l'allattamento si interrompe.
Ci confrontiamo con il latte nero, con le qualità nere del latte, un latte mortifero che chiede di essere visto, di essere curato, di avere diritto di parola.

Come dice Paul Celan in “Todesfuge” :
Nero latte dell'alba ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera
beviamo e beviamo


Il latte nero è il latte dei “senza patria”, è il latte amaro della separazione precoce, e di chi non ha provato se stesso nella sfida della vita, dal chiamare a sé il latte e temere che non ci sia o che non ce ne sia abbastanza, dal succhiare con vigore al seno della vita, affermare il nostro diritto di vivere, nello stabilire con nostra madre una relazione in cui ci conquistiamo ciò che ci è donato. E questa nostra prima affermazione ha per teatro due corpi e un capezzolo, corpo e capezzolo in cui ci riconosciamo e ci invitano ad esistere.
Il biberon racconta un'altra storia, succhiare è facile e veloce ma poi ti mettono giù subito, lontani dall'abbraccio che ci fa vivere, e impariamo chi siamo dalla gomma.
Racconta di qualcosa che si è interposto, si è messo in mezzo, tra il bambino, la bambina e l'amore di sua madre: un'emozione, un dubbio, una paura, un senso di inadeguatezza, una tristezza per qualcosa che si è perduto, una rabbia per un'invasione non voluta, per un consiglio non richiesto e fuorviante, per tutto ciò che svaluta e disprezza il valore e il potere materno, oppure un'idea, che non ha radici nell'emozione e nel corpo, oppure l'ignoranza, il non sapere, la nostra e di chi ti circonda.

Non sono stata allattata da mia madre, reduce da un parto cesareo che l'aveva portata in fin di vita, relegata in una camera d'ospedale ed io, separata da lei in un'incubatrice, luogo di incubi precoci, alimentata prima con un sondino e poi dal biberon.
Riguardo ogni tanto le mie foto di un mese finalmente sdraiata accanto a mia madre, sul lettone, la guardo con occhi felici, colmi di stupore, ma allora esisti ? Sembrano dire i miei occhi di neonata.
E' stato solo molti anni dopo che ho incontrato il latte nero, quando sono diventata mamma io stessa e ho dovuto subire i numerosi attacchi di chi mi stava accanto, di chi avrebbe dovuto sostenermi e proteggermi. Fin dai primi giorni mi è stato detto che non avevo abbastanza latte e suggerito di usare il latte artificiale. Io non ne volevo sapere e dando molto valore all'allattamento, proprio a partire dalla mia esperienza di mancanza ho continuato ad allattare. Riccardo dormiva molto le prime settimane, a volte faceva sei poppate lunghe e poi dormiva il resto del tempo. La pediatra mi disse di svegliarlo per dargli “in tutti i modi” una poppata in più. Mi sembrava innaturale svegliarlo, perchè credo che in quel momento avesse ancora bisogno di recuperare le fatiche del parto, poi aveva un carattere pacifico e stava bene. Allo stesso tempo non me la sentivo di contrariare il parere di un medico, non avendo nessuna esperienza ma solo il mio sentire che nessuno si era preoccupato di ascoltare. Così mi costrinsi a svegliarlo e a dargli più latte.
Qualcosa si era dunque “intromesso” tra me e il mio bambino, tra il mio amore e lui, mi sentii inesperta e in errore, questo “banale” avvenimento minò la mia fiducia in me stessa, e la fiducia nella bontà di quella relazione così intima. L'allattamento proseguì regolarmente, anche se la paura e il dubbio che il mio modo di allattare non andasse bene, che il bambino non crescesse abbastanza, si era ormai infiltrato nella relazione, e , non visto, cominciò a “prendere corpo”. Infatti alla fine del secondo mese, quasi al traguardo di un allattamento ben avviato, mio figlio cominciò ad avere sintomi preoccupanti, vomitava a getto, almeno una volta al giorno, dopo due settimane ci siamo accorti che non cresceva. Lo portammo in ospedale per accertamenti.
Gli esami dimostrarono che aveva sviluppato una stenosi pilorica, un ingrossamento del piloro e che il latte ingurgitato, non poteva passare nello stomaco ma solo rigettato. Passai una settimana in ospedale che non dimenticherò mai, sempre accanto a mio figlio, su una sedia a sdraio, perchè non c'ìerano letti ad accogliere le madri dei neonati ricoverati, con l'ansia dell'operazione e il non poterlo prendere in braccio, la sofferenza per il suo pianto e le torture che stava subendo. Il sottile senso di colpa che si insinuava insidioso. Continuai a tirarmi il latte ogni giorno, quando tutto sarebbe finito volevo continuare ad allattarlo, ma così non fu.
L'avevano riportato dalla sala operatoria e passato il periodo di osservazione mi avevano dato il permesso di allattarlo. Finalmente il mio piccolo poteva succhiare di nuovo ! Lui si attaccò bene, energico e vorace. Mangiò un sacco e poi vomitò. A me sembrò in quel momento di sprofondare di nuovo nell'incubo e chiamai un medico raccontandogli cos'era successo, e chiesi se potevo continuare ad allattarlo. Volevo solo essere rassicurata. Il medico mi rispose che avrei fatto meglio a passare al biberon. Ora mi è ben chiaro che la risposta del medico era un'assurdità senza logica alcuna, mio figlio aveva bisogno di abituarsi di nuovo all'alimentazione diretta e il biberon non poteva fare nessuna differenza. Ma io volevo solo che il bambino stesse bene, che smettesse di soffrire. Senza rendermene conto avevo fatto e mi avevano indotto a fare, l'equazione che il mio latte era “cattivo”, che era il mio latte “responsabile” di quello che era successo. Avevo solo bisogno di comprensione e di riposo, invece trovai conferma ai peggiori fantasmi interiori, al mio “latte nero” e così finì la mia esperienza di allattamento.

Diversi anni dopo, iniziata una terapia personale, sentendomi ascoltata e compresa, ho potuto elaborare questa dolorosa vicenda, ricostruendone tutta l'assurdità, il dolore e la sofferenza, il mio latte “avvelenato”, nero, è tornato bianco. Una notte sognai di tornare ad allattare, ed era proprio così anche nella vita, tornavo ad allattare e a nutrire progetti, vita, amore, perché sempre le vecchie ferite possono rimarginarsi , e la guarigione aprire porte nuove.

Le vie del latte aprono oggi scenari nuovi, nuove sfide alla modernità. Come cambieranno il mondo le madri che allattano ? Perché è certo che, se le donne continueranno a scegliere il loro latte e un allattamento prolungato, qualcosa dovrà cambiare e sta già cambiando nella nostra società.
Dare spazio e dignità all'esperienza del piacere è già di per sé un'attività sovversiva, pensiamo poi a vederla all'opera ! Nelle coppie, sui luoghi di lavoro, nella relazione tra donne. Una conciliazione tra maternità e lavoro che crea, come un tempo, parentele di latte, che i bambini succhino a seni di donne diverse, si rafforzano i legami, i debiti di riconoscenza, si crea una società più aperta all'incontro, all'accettazione della diversità.
Lavorare e allattare insieme come fanno le madri Tamagni del Nepal rurale, in una perfetta coordinazione di tempi di lavoro e tempi di vita, grazie ad un'invenzione sociale che non crea luoghi e tempi separati, ma è creata da una mente che unisce, che relaziona, che nutre e può nutrire non solo i figli e le figlie ma un'intera società.

Inventare infine nuove pratiche, nuovi spazi di guarigione, come ci suggerisce la tradizione khmir nelle montagne a nord ovest della Tunisia, dove con speciali tecniche mentali, affini alla meditazione e alla trance, trasmesse dai marabout, i santi locali, conservate e tramandate gelosamente dalle donne è possibile entrare in contatto con baraka, l'energia vitale della madre che allatta. Quando una donna trasmette questa forza, non è solo il lattante a beneficiarne ma i familiari e l'intera comunità.



Indicazioni bibliogafiche: Il latte materno, a cura di Vanessa Maher, Rosenberg e Sellier 1992

Testo di Emanuela Geraci
Inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it nel giugno 2009


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