Gaia, la Madre Terra
Onorare, amare e rispettare la Madre Terra

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LA TERRA MADRE O AMANTE?
di Franco, contadino biologico di Blera



Chi mi conosce sa che non sono affatto contrario al progresso e sono il primo, se posso, ad usare le macchine, se queste mi aiutano ad alleviare la fatica. Ma come al solito il problema non è tanto la macchina in sé, quanto l'uso che se ne fa.
Sembra quasi che gli ingegneri meccanici inseguano un disegno oscuro impostogli da oscuri poteri; sembra che anziché inventare macchine per alleviare la fatica dei contadini si inventino aggeggi per allontanarli sempre più dall'oggetto del proprio lavoro: la terra.
Oggi con le macchine puoi far tutto: seminare, piantare, trapiantare, zappare, sarchiare, pacciamare, irrigare, concimare, potare, raccogliere, incassettare, stoccare; ciò che potrebbe sembrare prerogativa dell 'industria, della città, della frenesia del lavoro alìenato. Un contadino che avesse soldi a sufficienza potrebbe fare il suo lavoro senza mai toccare la terra, neanche per camminarci. Quindi anche in agricoltura prende piede la cultura della violenza alla terra. Abbiamo sempre cercato le motivazioni di tale violenza nella politica, n elI' economia, nella "cultura". Ma il fatto che anche nei paesi in via di sviluppo, non appena c'è un miglioramento nel tenore di vita, inizia a prendere piede questo approccio perverso, ci dovrebbe far riflettere: forse la risposta è più psicologica che altro.
Gli antichi veneravano la terra come Dea Madre, creatrice di ogni organismo vivente e di ogni altro Dio. Anche oggi le persone più sensibili continuano a pensare alla Terra come ad una madre.
Ma riflettiamoci bene: l'uomo adulto ad un certo punto deve affrancarsi dalla madre per poter avere con il genere femminile un rapporto nuovo, fecondo, maturo. Proprio in chi è incapace di elaborare il proprio rapporto con la madre nascono spesso pulsioni di storte, rapporti infantili, nel peggiore dei casi perversioni e violenza. II bisogno di tagliare il cordone ombelicale diventa allora un desiderio di rivalsa.
L'uomo nel momento stesso in cui è divenuto tale, nel momento in cui ha avuto coscienza di sé, ha subito uno scollamento col resto della natura, ha perso un equilibrio e da allora ne cerca, finora inutilmente, uno nuovo. Tornare indietro non è né possibile né auspicabile, quell'equilibrio è perso per sempre. L'unico modo per trovame un altro è cercarlo dentro di sé. In una parola CRESCERE. Quando un uomo cresce non cerca più la madre, ma cerca la donna. Non voglio qui negare l'ovvietà che la terra sia madre (sarebbe come negare che la donna sia madre, o possa esserlo). Penso solo che dovremmo cercare con la terra un nuovo approccio, non sentirei più figli ma AMANTI.
Non uso questa parola a caso. È quasi un modo di dire "essere amanti della natura", ma anche le parole dette senza pensarci troppo hanno un loro senso. AMANTE colui che ama, ma è diverso dall'innamorato il quale può anche non essere corrisposto. Essere amante implica un'azione e perciò è per forza corrisposto. Quindi essere amante della terra significa essere da lei amato, ma soprattutto è un sentimento fattivo, è un'azione, è un complesso di comportamenti concreti atti a "COLTIVARE" quest'amore. Un figlio non sceglie l'amore della madre, rispetto al quale è in qualche modo passivo, lo riceve, lo ricambia, ma non fa altro, non lo coltiva, è "naturale", Se è un buon figlio quando lei sarà vecchia l'accudirà. È una legge di natura che non abbisogna d'altro. Essere amanti è tutt'altro, c'è rispetto ma è un rispetto diverso, non "doveroso" ma sentito, agito, voluto, costruito, coltivato. Non intendo insegnare niente a nessuno. lo stesso ho elaborato tutto questo solo negli ultimi giorni. Prendetelo quindi per quello che è.
Diciamo che sto pensando ad alta voce, perciò sono aperto a critiche e suggerimenti. Ciò che vorrei condividere con voi è l'idea che forse l'uomo soffre di una sorta di complesso edipico nei confronti della terra e che forse dovrebbe crescere e cercare di liberarsene.

Articolo tratto dalla rivista Vivere con Cura, n°24, autunno 2006




Un decalogo per l'agricoltura biologica
Di Giorgio Celli




L’agricoltura biologica non è solo un sistema di pratiche colturali, che escludano le molecole di sintesi, nitrati o pesticidi che siano, privilegiando fertilizzanti di origine organica, e per la difesa del campo coltivato, composti principalmente di estrazione, quasi sempre di derivazione vegetale.

Una tale concezione sarebbe riduttiva, perché l’agricoltura biologica è un punto di convergenza e di identificazione di due sinonimi, l’uno con la u, cultura e l’altra, con la o, coltura che designano, nella locuzione comune, l’una le tradizioni e i costumi di una società, l’altra la pratica dell’agricoltura.
Sinonimi per il vocabolario, distinti per un uso quotidiano quanto improprio, l’agricoltura biologica ne azzera ogni fraintesa differenza, proprio perché l’agricoltore che vi si dedica, non è solo il depositario di un insieme di tecniche e di cautele agronomiche, ma di una visione del mondo, mirata sul rapporto della nostra specie con la natura.

L’agricoltura industriale, votata alle macchine e alla chimica di sintesi, esprime, invece, una volontà di potenza, si fonda sulla filosofia di chi vuole soggiogare la natura e spremerla fino all’osso, lasciando dietro di sé terra bruciata.
E’ un’agricoltura di quantità, che vuol produrre a ogni costo e che tende alla standardazzione dei prodotti: mele come palle da biliardo, eguali ed egualmente lucenti.

Al contrario, l’agricoltura biologica, punta sull’organico invece che sul meccanico, sul naturale e non sull’artificiale, non tanto sulla quantità, che pure ovviamente non trascura, ma che vuol coniugare con una qualità che si esprime nella diversità, privilegiando le differenze.

Per dare uno sviluppo coerente a queste brevi annotazioni, abbiamo pensato di stilare un piccolo decalogo che veniamo subito a esporre:

L’azienda biologica produce non solo derrate agricole, ma ambiente: il suo impiego della concimazione organica e della lotta biologica, garantisce non solo una produzione esente da residui, ma che non ha permesso la contaminazione ambientale, né del campo coltivato, né dei suoi immediati dintorni, né del territorio circostante, né , perché no?, della biosfera nel suo insieme.

In parole povere, l’agricoltura biologica promuove la salute dell’ambiente e del consumatore.

L’agricoltura biologica si prende a cuore la conservazione e l’accrescimento della biodiversità.
Insedia siepi e alberi come rifugio di organismi utili, entomofagi e impollinatori, e di altre specie a rischio d’estinzione, non pratica il diserbo chimico, punta sull’insediamento di antiche cultivar scomparse, o marginali nell’ambito dell’agricoltura industriale, sfruttandone la frequente resistenza alle avversità, destinandone i prodotti a un mercato in rapida crescita.

L’agricoltura biologica presuppone che l’agricoltore si riappropri del proprio campo e del proprio lavoro.
Produrre insieme derrate e ambiente, presuppone l’avvento di una nuova professionalità, che faccia dell’agricoltore il tecnico di sé stesso, e che, qualora debba ricorrere alla scienza altrui, ne attinga attraverso il dialogo e non assumendo la funzione passiva dell’ascoltatore.

L’agricoltore biologico è un uomo aperto al mondo, consapevole che milioni di uomini soffrono la fame, e che l’etica ci impone di far qualcosa per aiutarli. Partecipa così attivamente alle organizzazioni che si occupano del problema, appoggia il commercio equo e solidale, si pone in dialettica con quegli aspetti della globalizzazione che operano per l’egemonia del Nord sul Sud del mondo.
L’acqua, nei prossimi decenni, diventerà più preziosa dei combustibili fossili, perché l’acqua è vita e più di un miliardo di uomini soffrono la sete o bevono delle acque non potabili. L’agricoltore biologico, praticherà il risparmio dell’acqua, e opererà nel senso di difendere le falde e i corpi idrici in superficie, non ultimo perché i suoi prodotti, che sono di qualità, esigono una irrigazione di qualità.
Produrre biologico significa produrre secondo il ritmo delle stagioni, coltivando gli ortaggi e la frutta all’epoca giusta. In tal modo si evitano forzature colturali, spesso onerose e sostenute chimicamente, e che incentivano il ricorso ai conservanti, sempre e comunque pericolosi per la salute del consumatore.

Ogni cosa ha il suo tempo, ogni frutto la sua stagione.
Spesso si pensa, tra i non informati e i detrattori, che l’agricoltura biologica guardi al passato e non si curi del futuro. Non è affatto così, anche se le tradizioni, se valide, sono conservate, o recuperate: la rotazione, come ripristino della fertilità del suolo e come pratica sanitaria, il sovescio, come fertilizzazione organica, la consociazione, come modo per ottimizzare l’utilizzo di diverse rizosfere, facciamo solo qualche esempio, sono delle pratiche tradizionali da rimettere in opera. Nel contempo tutte le nuove tecnologie a valenza ecologica, dall’impiego dei feromoni alla lotta microbiologica, sono prese in carica dall’agricoltore biologico, che dimostra così di guardare il futuro senza dimenticare il passato.
Come abbiamo già accennato, l’agricoltura biologica punta sulla qualità, ma non basta: intende legare la qualità al territorio, e alla sua storicità. Difatti, recupera antiche cultivar, e si propone di rilanciare la tipicità di certe produzioni locali di eccellenza, come, con tre esempi di minima, il durone di Vignola, la fragola di Cesena o il parmigiano reggiano.

Per questo motivo, le piante transgeniche, gli OGM, non hanno accesso ai campi dell’agricoltore biologico.
In primo luogo, perché queste piante, spiazzando le vecchie cultivar, tendono a porre in forse la biodiversità, e puntano a prodotti standard, non espressione di un certo territorio e di una certa tradizione, ma eguali per tutto il pianeta. Le piante transgeniche sono irriducibili a qualsiasi tipicità e storicità delle produzioni agricole, e perfino alle gastronomie che ne derivano.
L’agricoltura biologica presuppone l’avvento di una nuova dimensione della ricerca scientifica, che ponga come prioritaria la coesistenza tra gli organismi e non il dominio degli uni sugli altri, che favorisca la trasformazione dei parassitismi in simbiosi, degli antagonismi in compromessi ecologici.

La sua epistemologia si fonda sulla nozione di equilibrio o di quasi -quilibrio biologico- o più estesamente ecologico, per il quale l’uomo non è lo sfruttatore sordo e cieco della biosfera, ma il suo illuminato giardiniere.
L’agricoltura biologica è la punta più avanzata dell’agricoltura sostenibile.
E’ sostenibile nel senso che assicura la conservazione della fertilità del suolo, che non inquina l’ambiente con abusi chimici e tecnologici, che produce secondo il ritmo delle stagioni, che conserva e semmai accresce la biodiversità, che promuove la sicurezza alimentare.

In più, l’agricoltura biologica si presenta come l’attività di un uomo aperto al mondo, eticamente coinvolto, e padrone del proprio lavoro.

Tratto da “i semi del dubbio” di G.Celli

Leggi l’articolo per intero

https://xoomer.alice.it/biodiversita_bergamasca/home.html

e per saperne ancor di più sugli OGM

https://www.rfb.it/csa/links/ogm.htm

Immagini tratte dalla rete





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