Yule - Solstizio d'inverno
Il Cerchio della Luna propone per Il solstizio d'inverno (Yule) una celebrazione
aperta
Mentre l'anno volge al termine, le notti si allungano e le ore di
luce sono sempre più brevi, fino al giorno del Solstizio invernale,
il 21 dicembre. II respiro della natura è sospeso, nell'attesa
di una trasformazione, e il tempo stesso pare fermarsi. E' uno dei momenti
di passaggio dell'anno, forse il piö drammatico e paradossale: l'oscuritá
regna sovrana, ma nel momento del suo trionfo cede alla luce che, lentamente,
inizia a prevalere sulle brume invernali.
Dopo il Solstizio, la notte piö lunga dell'anno, le giornate ricominciano
poco alla volta ad allungarsi.
Come tutti i momenti di passaggio, Yule è un periodo carico di
valenze simboliche e magiche, dominato da miti e simboli provenienti da
un passato lontanissimo.
Il Natale e' la versione cristiana della rinascita del sole, fissato secondo
la tradizione al 25 dicembre dal papa Giulio I (337 -352) per il duplice
scopo di celebrare Gesö Cristo come "Sole di giustizia" e creare una celebrazione
alternativa alla piö popolare festa pagana. Sin dai tempi antichi dalla
Siberia alle Isole Britanniche, passando per l'Europa Centrale e il Mediterraneo,
era tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebravano le nozze fatali
della notte piö lunga col giorno più breve.
Due temi principali si intrecciavano e si sovrapponevano, come i temi
musicali di una grande sinfonia. Uno era la morte del Vecchio Sole e la
nascita del Sole Bambino, l'altra era il tema vegetale che narrava la
sconfitta del Dio Agrifoglio, Re dell'Anno Calante, ad opera del Dio Quercia,
Re dell'Anno Crescente.
Un terzo tema, forse meno antico e nato con le prime civiltá agrarie,
celebrava sullo sfondo la nascita-germinazione di un Dio del Grano...
Se il sole è un dio, il diminuire del suo calore e della sua luce
À visto come segno di vecchiaia e declino. Occorre cacciare l'oscuritá
prima che il sole scompaia per sempre.
Le genti dell'antichitá, che si consideravano parte del grande cerchio
della vita, ritenevano che ogni loro azione, anche la piö piccola, potesse
influenzare i grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti
per assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano falž per sostenerne
la forza e per incoraggiarne, tramite la cosiddetta "magia simpatica"
la rinascita e la ripresa della sua marcia trionfale.
Presso i celti era in uso un rito in cui le donne attendevano, immerse
nelloscurità, larrivo della luce-candela portata dagli
uomini con cui veniva acceso il fuoco, per poi festeggiare tutti insieme
la luce intorno al fuoco.
Yule, o Farlas, è insieme festa di morte,
trasformazione e rinascita. Il Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si
trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall'utero della Dea: all'alba
la Grande Madre Terra dá alla luce il Sole Dio.
La Dea è la vita dentro la morte, perche' anche se ora À regina
del gelo e dell'oscuritá, mette al mondo il Figlio della Promessa, il
Sole suo amante, che la rifeconderá riportando calore e luce al suo regno.
Anche se i più freddi giorni dell'inverno ancora devono venire,
sappiamo che con la rinascita del sole la primavera ritorna.
La pianta sacra del Solstizio d'Inverno è il vischio,
pianta simbolo della vita in quanto le sue bacche bianche e traslucide
somigliano allo sperma maschile. Il vischio, pianta sacra ai druidi, era
considerata una pianta discesa dal cielo, figlia del fulmine, e quindi
emanazione divina. Equiparato alla vita attraverso la sua somiglianza
allo sperma, ed unito alla quercia, il sacro albero dell'eternitá, questa
pianta partecipa sia del simbolismo dell'eternitá che di quello dell'istante,
simbolo di rigenerazione ma anche di immortalitá. Ancora oggi baciarsi
sotto il vischio èun gesto propiziatorio di fortuna e la prima
persona a entrare in casa dopo Farlas deve portare con se' un ramo di
vischio. Queste usanze solstiziali sono state trasferite al gennaio, il
Capodanno dell'attuale calendariocivile.
Celebrare Farlas o Yule
La natura in questo
tempo si riposa per prepararsi a vivere un nuovo ciclo e anche per noi
sarebbe fisicamente opportuna una pausa, approfittando magari delle vacanze
natalizie per dedicarci alla lettura, alla meditazione, a esercizi di
rilassamento.
Una cosa piacevole sarebbe l'idromassaggio, una pratica rilassante e al
tempo stesso simboleggiante le acque uterine da cui vogliamo rinascere
per l'anno a venire. Purtroppo tutto congiura contro un salutare riposo
solstiziale. Infatti questo periodo dell'anno, per l'accumularsi di celebrazioni,
feste e acquisti di regali puž portare a stress e ansia. La forzata allegria,
la routine quotidiana, il consumismo esaperato, sono tutti elementi che
possono condurre a sentimenti di depressione e isolamento. Sará la minor
quantitá di luce solare, sará l'essere costretti a mostrare un aspetto
felice, ma questo è uno dei periodi dell'anno con il più
alto picco di suicidi...
Tuttavia, se ricordiamo che questo tempo è quello in cui siamo
piö lontani dal sole e contemporaneamente anche consapevoli della sua
rinascita, possiamo provare a trattenere questa piccola luce in noi. Il
Solstizio può essere per noi un momento molto calmo e importante,
in cui nella silenziosa e oscura profonditá del nostro essere, noi contattiamo
la scintilla del nuovo sole. Questa è anche una opportunitá per
gioire e abbandonarci a sentimenti di ottimismo e di speranza: come il
sole risorge, anche noi possiamo uscire dalle tenebre invernali rigenerati.
Ci sono tanti modi per celebrare a livello spirituale questa festa: possiamo
decorare la nostra casa con le piante di Farlas oppure fare un albero
solstiziale. Non un solito albero natalizio, bensì
un albero decorato con tante piccole raffigurazioni del sole.
O ancora possiamo alzarci all'alba e salutare il nuovo sole. Si possono
accendere candele o luci per rappresentare la nascita delle nostre speranze
per il nuovo anno.
Possiamo anche compiere una celebrazione più rituale, con l'accensione
del ciocco. Anche se non abbiamo un caminetto in casa
possiamo accenderlo nel nostro giardino, o in un prato insieme ai nostri
amici. Si prende un grosso pezzo di legno di quercia e lo si orna con
rametti di varie piante: il tasso (a indicare la morte dell'anno calante),
l'agrifoglio (l'anno calante stesso), l'edera (la pianta del dio solstiziale)
e la betulla (l'albero delle nascite e dei nuovi inizi). Si legano i rametti
al ciocco usando un nastro rosso. Se abbiamo celebrato questo rito anche
l'anno precedente e abbiamo un pezzo non combusto del vecchio ciocco,
accenderemo il fuoco con questo, Si dice: "Come il vecchio ciocco èconsumato,
così lo sia anche l'anno vecchio". Quando il ciocco prende fuoco
si dice: "Come il nuovo ciocco À acceso, cosœ inizi il nuovo anno". Una
volta che il fuoco è acceso osserviamo le sue fiamme e meditiamo
sulla rinascita della luce e sulla nostra rinascita interiore. Accogliamo
le nostre speranze, i nostri sogni per il futuro e salutiamo questa luce
dicendo: "Benvenuta, luce del nuovo sole!". Brindiamo con vin brulè
e consumiamo dolci, lasciando una parte del nostro festino per la Madre
Terra. Piö tardi le ceneri del ciocco potranno essere sparse nel nostro
giardino o nei vasi delle piante che teniamo in casa per propiziare la
salute e la fertilitá della vegetazione.
Un altro modo per celebrare Farlas èquello del ramo dei
desideri, un rituale della tradizione celtica bretone. Nove giorni
prima del Solstizio occorre procurarsi un ramo secco di buone dimensioni,
pitturarlo con vernice dorata e appenderlo nell'anticamera della propria
abitazione, con un pennarello e alcune strisce di carta rossa da tenere
lœ vicino. Chiunque entri in casa se vuole, potrá scrivere un proprio
desiderio su una striscia di carta, che verrá ripiegata per garantire
la segretezza del desiderio e legata al ramo con un nastrino colorato.
Quando nove giorni dopo si accende il fuoco del Solstizio (nel caminetto
di casa o in un falž nel giardino o nel campo) il ramo viene sistemato
sulla legna da ardere e i desideri che sono appesi ad esso bruciando saliranno
col fumo sempre piö in alto, finche' verranno accolti da entitá celesti
e chissá, forse esauditi. Per quanto riguarda il cibo, gli alimenti tradizionali
sono le noci, la frutta come mele e pere, i dolci con il cumino dei prati,
bagnati col sidro. Le bevande adatte sono il Wassil, il Lambswool, il
té di ibisco o di zenzero.
Olio per Yule
5mL di olio di pino
5mL di olio di cannella
5mL di olio di oliva
1 cucchiaio di radice di zenzero rotta a piccoli pezzi
3 cucchiai di sale marino
Usatelo per ungere le candele (la cannella irrita la pelle!)
Il vischio
Era molto importante per i Gallo-Celti. Le consuetudini sull'uso del vischio
come elemento apportatore di buona sorte derivano in effetti in buona
parte dalle antiche tradizioni celtiche, costumi di una popolazione che
considerava questa pianta come magica (perché, pur senza radici,
riusciva a vivere su un'altra specie) e sacra. Lo poteva raccogliere infatti
solo il sommo sacerdote, con l'aiuto di un falcetto d'oro. Gli altri sacerdoti,
coperti da candide vesti, lo deponevano (dopo averlo recuperato al volo
su una pezza di lino immacolato) in una catinella (pure d'oro) riempita
d'acqua e lo mostravano al popolo per la venerazione di rito. E per guarire
(per i Celti il vischio era "colui che guarisce tutto; il simbolo
della vita che trionfa sul torpore invernale) distribuivano l'acqua che
lo aveva bagnato ai malati o a chi, comunque, dalle malattie voleva essere
preservato. I Celti consideravano il vischio una pianta donata dalle divinità
e ritenevano che questo arboscello fosse nato dove era caduta la folgore,
simbolo della discesa della divinità sulla terra. Plinio il Vecchio
riferisce che il vischio venerato dai Celti era quello che cresceva sulla
quercia, considerato l'albero del dio dei cieli e della folgore perché
su di esso cadevano spesso i fulmini. Si credeva che la pianticella cadesse
dal cielo insieme ai lampi. Questa congettura - scrive il Frazer nel suo
"Ramo d'oro" - è confermata dal nome di "scopa del
fulmine" che viene dato al vischio nel cantone svizzero di Argau.
"Perché questo epiteto - continua il Frazer - implica chiaramente
la stessa connessione tra il parassita e il fulmine; anzi la scopa del
fulmine è un nome comune in Germania per ogni escrescenza cespugliosa
o a guisa di nido che cresca su un ramo perché gli ignoranti credono
realmente che questi organismi parassitici siano un prodotto del fulmine".
Tagliando dunque il vischio con i mistici riti ci si procura tutte le
proprietà magiche del fulmine.
Le leggende che considerano il vischio strettamente connesso al cielo
e alla guarigione di tutti i mali si ritrovano anche in altre civiltà
del mondo come ad esempio presso gli Ainu giapponesi o presso i Valo,
una popolazione africana.
Inoltre queste usanze, chiamate anche druidiche (i sacerdoti dei Celti
erano infatti i Druidi), continuarono (specie in Francia) anche dopo la
cristianizzazione. La natura del vischio, la sua nascita dal cielo e il
suo legame con i solstizi non potevano infatti non ispirare ai cristiani
il simbolo del Cristo, luce del mondo, nato in modo misterioso. "Come
il vischio è ospite di un albero, così il Cristo - scrive
Alfredo Catabiani nel suo "Florario" - è ospite dell'umanità,
un albero che non lo generò nello stesso modo con cui genera gli
uomini".
tratto da: https://gazzettino.quinordest.it:80/VisualizzaArticolo.php3?Luogo=Udine&Codice=3610683&Pagina=AMBIENTE%20%26%20NATURA
L'albero
Solstiziale e l'albero di Natale
Sono origini molto antiche, quelle che collocano il famoso abete nelle
feste del Solstizio d’inverno, ovvero il Natale.
I popoli germanici, lo usavano nei loro riti pagani, per festeggiare il
passaggio dall’autunno all’inverno. In seguito era usanza
bruciarlo nella stufa, in un rito di magia simpatica (secondo cui il simile
attira il simile), in modo che con il fuoco si propiziasse il ritorno
del sole.
Fu scelto l’abete perché è un albero sempre verde,
che porta speranza nell’animo degli uomini visto che non muore mai,
neppure nel periodo più freddo e difficile dell’anno.
Era un simbolo fallico, di fertilità ed abbondanza associato alle
divinità maschili di forza e vitalità. Ecco che addobbarlo,
prendeva quindi i connotati di un piccolo rito casalingo che portava fortuna
ed abbondanza alla famiglia.
Il Solstizio d’inverno, è il momento in cui la divinità
maschile muore, per poi rinascere in primavera. Questo ciclo di morte-nascita,
lo si ritrova in moltissime culture, oltre quella cristiana. E’
presente in Egitto, con la morte di Osiride e nel mito di Adone che si
evirò proprio sotto ad un pino.
Addobbare l’albero di Natale con le luci, accendendolo di mille
riflessi, ricorda il rituale del grande falò dell’abete,
che spesso si prolungava fino all’attuale festa della Befana. In
alcune popolazioni europee, con il fuoco dell’abete, si bruciava
simbolicamente le negatività del passato, e le streghe leggevano
nel fuoco i presagi per il futuro.
La tradizione dell’albero prese piede in Italia nel 1800, quando
la regina Margherita, moglie di Umberto I, ne fece allestire uno in un
salone del Quirinale, dove la famiglia reale abitava. La novità
piacque moltissimo e l’usanza si diffuse tra le famiglie italiane
in breve tempo.
Molte leggende cristiane sono poi nate nel tempo attorno all’albero
di Natale, come quella americana che racconta di un bambino che si era
perso in un bosco alla vigilia di Natale si addormentò sotto un
abete. Per proteggerlo dal freddo, l’abete si piegò fino
a racchiudere il bambino tra i suoi rami. La mattina i compaesani trovarono
il bambino che dormiva tranquillo sotto l’abete, tutto ricoperto
da cristalli che luccicavano alla luce del sole. In ricordo di quell’episodio,
cominciarono a decorare l’albero di Natale.
Quest’anno, non acquistate alberi vivi, i tempi sono cambiati e
non è proprio il caso di far soffrire una pianta per egoismo e
piacere personale!
di Michela Brandino, segnalato in wiccanews e tratto da:
https://www.grandain.com/informazione/dettaglio.asp?id=14594
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